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“La casa degli sguardi” esordio alla regia per Luca Zingaretti

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Questa sera alle ore 18, la diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma presenterà in anteprima, nella sezione Grand Public “La casa degli sguardi” esordio alla regia di Luca Zingaretti. Il film, che si svolgerà presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, si ispira all’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, trovando l’immediatezza e la sincerità per raccontare diverse generazioni e mostrando la Roma di oggi dalla prospettiva di chi crede nel lavoro e nella scrittura, e decide di non mollare, malgrado tutto. “Negli anni frequentando molti set ho iniziato a vedere le cose in modo diverso e quando ho incontrato questa storia mi si è accesa la luce perchè ci sono dei temi che mi stanno a cuore e mi sono detto che avrei saputo raccontarla” queste le prime parole di Luca Zingaretti nella conferenza stampa di presentazione del suo film.

“E’ la storia di chi sa rimettersi in piedi, della vita che sa sorprenderci, del dolore che oggi in questa società non è più concesso: tutto è basato sulle performance. Seguiamo un pezzo di vita di questo ragazzo, il suo malessere può essere di qualunque giovane ma non in qualsiasi periodo. Nell’adolescenza si costruisce l’individuo che a quella età deve ribellarsi e l’inquietudine ci deve essere. Negli ultimi tempi l’evoluzione tecnologica è stata talmente veloce da non saperla ne legiferare ne gestire; il cambiamento climatico causerà una migrazione mia vista prima, tutto questo stanno vivendo i giovani di oggi e l’inquietudine è il minimo nei ragazzi di oggi. Il protagonista del film ha 21 anni, ha anche vissuto il trauma della perdita della mamma, sente tutto in modo esponenziale e deve anestetizzarsi. Ma il dolore non si deve evitare, si deve accogliere: abbiamo perso la capacità di stare nelle cose e non fuggire. Lui si rimetterà in piedi quando capirà questo”.

Dolore, sensibilità, genitorialità, amicizia, amore: sono tanti i temi trattati in questo film. “Sì ma il mio film parla anche del lavoro – ha proseguito Zingaretti -, non solo per guadagnare soldi. Il lavoro ti radica, ti identifica: ti definisci attraverso ciò che fai nella vita, che poi è il dramma di chi è disoccupato. Senza non sai che cosa sei, sei trasparente. Il lavoro ha un potere salvifico”. Il protagonista è interpretato da Gianmarco Franchini: “L’ho scelto subito perchè ha un’anima che rielabora le cose, ecco perchè è bravo. – ha concluso il regista -. Con lui ho lavorato tanto sul set. Lui non si nasconde, non ha paura di farsi vedere fragile”. Emozionato per queste parole e per quanto realizzato, Gianmarco ha raccontato come sono andate le cose dal suo punto di vista: “ho letto il libro e la passione per il personaggio è esplosa. Quando mi hanno detto che lo avrei fatto mi è salita la tensione e l’ansia, perchè questo ragazzo ha talmente tanto dentro, un modo ed un mondo tutto suo, una pelle così sottile da poterla bucare sfiorandola con un fiore, che doverlo sentire e interpretare mi ha quasi impaurito. L’ho immaginato come una anima pura, da proteggere. Con Luca ho avuto una particolare empatia perchè essendo attore ha affrontato le mie stesse paure e tensioni e si è rapportato a me in modo naturale e semplice, diretto, senza fronzoli. Abbiamo avuto un continuo confronto di idee, perchè nonostante la mia giovane età è sempre stato disposto ad ascoltarmi”.

foto: xi9/Italpress

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Riccardo Cocciante, 5 nuove date a marzo al Teatro Arcimboldi Milano

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MILANO (ITALPRESS) – Riccardo Cocciante ha annunciato cinque nuove date, prodotte da Vivo Concerti, al Teatro Arcimboldi Milano: domenica 9, martedì 11, venerdì 14, domenica 16 e martedì 18 marzo 2025. I nuovi appuntamenti seguono lo straordinario trionfo dello show sold out all’Arena di Verona dello scorso 29 settembre, organizzato per il 50° anniversario dell’album “Anima”, nel quale il pubblico ha potuto apprezzare la prolifica discografia di uno degli artisti e compositori di maggiore successo in Italia e all’estero, che ha pubblicato in tre lingue più di 40 album. I cinque live in programma a marzo saranno una nuova occasione per celebrare la carriera di Riccardo Cocciante e immergersi in un viaggio musicale attraverso le sue intramontabili composizioni, accompagnato da una super band.
I biglietti saranno disponibili online a partire da giovedì 21 novembre alle ore 14 e in tutti i punti vendita autorizzati da martedì 26 novembre alle ore 14. Per ulteriori informazioni: www.vivoconcerti.com. Riccardo Cocciante ha recentemente raggiunto anche nuovi traguardi musicali con il brano “Era già tutto previsto”, presente nella colonna sonora del film di Paolo Sorrentino “Parthenope”, che nelle scorse settimane ha dominato la classifica delle canzoni più virali su Spotify in Italia, mantenendosi attualmente in Top 10. Un ulteriore riconoscimento è arrivato anche per uno dei brani più apprezzati dal pubblico, “Margherita”, che questa settimana è stato certificato disco di platino.

foto: ufficio stampa Wordsforyou

(ITALPRESS).

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Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883

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Nel panorama delle serie tv italiane, Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 si presenta come un’affascinante e nostalgica immersione nei ’90, dove la musica si fa voce di una generazione che, nonostante le differenze sociali e culturali, affronta le stesse paure e speranze. La serie, creata da Sydney Sibilia e disponibile su Sky dall’11 ottobre 2024, ci porta indietro nel tempo per raccontare la nascita e l’ascesa dei mitici 883, ma senza cadere nel facile elogio della leggenda musicale. Piuttosto, esplora le sfumature più intime e personali di Max Pezzali e Mauro Repetto, i due adolescenti che, partendo dalla provincia, hanno cambiato il panorama musicale italiano con canzoni che parlano di vita, sogni e disillusioni.

La storia è quella di due ragazzi qualunque, Massimo e Mauro, che si scoprono attraverso una passione condivisa per la musica. L’amicizia che nasce tra loro, caratterizzata dall’amore incondizionato per i suoni e i temi delle canzoni che ascoltano, diventa il motore che li spingerà a dare vita a un progetto musicale che li renderà protagonisti. La serie ci mostra il loro cammino con un linguaggio semplice e diretto, con la forza di narrare una storia che, pur essendo personale, risulta universale. Gli spettatori si ritrovano immediatamente nei loro panni: non sono popolari, non hanno certezze sul futuro e, soprattutto, non sono mai stati considerati dei privilegiati. Eppure, attraverso la loro musica e il loro talento, diventeranno una leggenda.

Il racconto, infatti, non si limita a ripercorrere gli eventi già noti della carriera degli 883. Anzi, Hanno ucciso l’Uomo Ragno riesce a coniugare passato e presente, immergendo lo spettatore in un contesto che, pur essendo radicato nella realtà italiana degli anni ’90, sa come parlare anche alla generazione di oggi. Il mix tra la nostalgia e la modernità è palpabile, rendendo la serie perfetta per un pubblico variegato. La scrittura non è mai banale: offre una narrazione profonda e dinamica, senza mai perdere il contatto con le emozioni universali di ogni adolescente. La musica non è solo una colonna sonora, ma una vera e propria protagonista, che accompagna il percorso di crescita dei due ragazzi e ne segna i momenti cruciali.

Ciò che colpisce in Hanno ucciso l’Uomo Ragno è l’autenticità e la verità che emergono dalla scrittura dei personaggi. Max e Mauro non sono eroi, ma ragazzi comuni che cercano di farsi strada in un mondo che li sembra spesso troppo grande e ostile. La serie ci regala uno spaccato di vita adolescenziale che, pur nella sua apparente semplicità, tocca temi universali: il sogno di emergere, la ricerca di un posto nel mondo, l’amicizia, la passione, ma anche la disillusione, le sfide e le delusioni. È proprio la loro autenticità a rendere il loro percorso così affascinante e coinvolgente.

Nonostante il rischio di cadere nel racconto semplicemente celebrativo, Hanno ucciso l’Uomo Ragno riesce a mantenere un equilibrio perfetto, evitando l’auto-celebrazione e concentrandosi invece sulle sfumature e sulle difficoltà di un percorso di crescita. Il titolo stesso, con il suo riferimento al mito degli 883, ci porta a riflettere sul fatto che, alla fine, i veri protagonisti della storia sono Max e Mauro, due ragazzi che, nonostante tutto, riescono a non perdere mai di vista se stessi, il loro sogno e la loro identità.

La serie, quindi, non è solo una biografia musicale, ma un racconto generazionale che sa come parlare a tutti. Si spinge oltre la semplice nostalgia, proponendo una riflessione sull’adolescenza, sull’arte come strumento di comunicazione e sulla lotta per realizzare un sogno in un mondo che sembra sempre più cinico e commerciale. Con una scrittura accurata, un cast convincente e una regia attenta, Hanno ucciso l’Uomo Ragno è una serie che riesce a emozionare, a far riflettere e, soprattutto, a farci sentire ancora giovani, un po’ come se anche noi, come Max e Mauro, potessimo, un giorno, urlare a gran voce la nostra verità.

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L’amica geniale: la quarta stagione tra fragilità e tempo che sfugge

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La quarta stagione de L’Amica Geniale segna un ulteriore passo nell’evoluzione della storia di Lenù e Lila, due protagoniste ormai inserite in un contesto storico e sociale che non è più solo lo sfondo delle loro vicende, ma diventa una parte fondamentale del loro essere. In un mondo segnato da terremoti, attentati e tumulti storici, la crescita di Elena Greco (interpretata da Alba Rohrwacher) si intreccia con il mutare delle condizioni sociali e politiche dell’Italia. La regia di Laura Bispuri si fa testimone di questo cambiamento, dando una nuova visione ai personaggi, in particolare a Lenù, che sembra sempre più persa in un percorso di autodistruzione, condizionata da un amore che la lega in modo morboso a Nino.

La stagione si distingue per un uso del linguaggio visivo che, in alcuni casi, diventa asfissiante. La cinepresa di Bispuri segue in modo quasi ossessivo i corpi dei protagonisti, portando lo spettatore a immergersi nel loro mondo di conflitti interiori e separazioni dolorose. La solitudine di Elena è rappresentata attraverso inquadrature ristrette che la rendono una figura alienata, isolata anche quando fisicamente circondata. Questo riflette il suo crescente distacco dal mondo che una volta le era familiare, una sensazione accentuata dalla presenza della figura di Lila (interpretata da Irene Maiorino), la quale riporta la sua visione a un livello più ampio, dove l’intreccio di queste due vite non può essere separato.

Tuttavia, è la mente di Lenù il vero centro della storia. La sua complessità psicologica è il cuore pulsante della narrazione. Alba Rohrwacher riesce a dare voce e corpo a un personaggio che, nonostante i dubbi e le insicurezze, è una forza trainante dell’intero racconto. In questa stagione, la voce fuori campo di Elena diventa ancora più intensa, come se il suo pensiero fosse la forza che guida la macchina da presa stessa. Il suo cammino è tormentato da una continua ricerca di sé, dalla paura di non essere all’altezza e dall’incapacità di liberarsi da un amore che la schiaccia. La sua performance è in grado di cogliere tutte le sfumature di una donna in bilico tra il passato e un futuro incerto, con una fragilità che, purtroppo, sembra anche il punto di partenza per la sua crescita.

Il montaggio della stagione sembra correre velocemente, come se fosse sempre un passo avanti rispetto ai personaggi. Le ellissi temporali, che si susseguono con rapidità, impediscono allo spettatore di assaporare appieno ogni momento, lasciando un senso di incompletezza. Le scene sembrano comprimere il tempo, dando l’impressione di un racconto che non ha il tempo di svilupparsi, ma è in continua evoluzione, come il pensiero stesso di Elena, che corre veloce senza mai fermarsi. La struttura del racconto non permette mai una pausa, costringendo il pubblico a inseguire l’andamento della storia senza il piacere della riflessione.

La regia di Bispuri, seppur impeccabile nel cogliere le emozioni e i conflitti interiori dei personaggi, non riesce a conferire un’impronta distintiva alla serie. A differenza dei suoi predecessori, come Saverio Costanzo o Alice Rohrwacher, la sua visione appare più subordinata al testo originale di Elena Ferrante, senza riuscire a portare una propria lettura autoriale. La macchina da presa diventa un osservatore passivo, che non si inserisce mai completamente nella vita dei personaggi, ma si limita a seguirli da una distanza di sicurezza.

Nonostante ciò, la magia de L’Amica Geniale riesce ancora una volta a incantare. La colonna sonora di Max Richter, con la sua intensità emotiva, ha il potere di immergere lo spettatore in un mondo che, pur essendo lontano, appare incredibilmente reale. La forza delle parole di Ferrante, la sensibilità degli interpreti e il legame profondo con la realtà del rione rendono questa quarta stagione una continuazione che, pur con i suoi limiti, non smette di affascinare e di lasciare un’impronta indelebile nel cuore di chi la guarda.

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