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Il restauro delle opere d’arte e l’impiego degli enzimi

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Il restauro delle opere d’arte è un campo che si sta sempre più evolvendo grazie all’innovazione scientifica, dove il ruolo della microbiologia è diventato fondamentale. Tra le tecniche più recenti, l’utilizzo di batteri specializzati per la pulizia e il mantenimento delle opere d’arte è un approccio che sta guadagnando terreno, soprattutto grazie all’azione degli enzimi, che aiutano a preservare e “rinfrescare” le superfici senza danneggiarle.

Chiara Alisi, ricercatrice biochimica presso Enea Casaccia, sottolinea che ogni intervento di restauro presenta sfide specifiche legate alla natura dell’opera. Ogni materiale e ogni tipo di invecchiamento richiedono un’azione mirata, ed è qui che entra in gioco la banca dati dei ceppi batterici, sviluppata dal gruppo Enea/Emcc, che raccoglie microrganismi con capacità particolari di produrre enzimi, acidi organici e molecole bioattive.

Questi ceppi vengono scelti per la loro capacità di “sciogliere” o digerire depositi dannosi sulle opere d’arte, come colle animali, resine naturali e sintetiche, cera d’api o ossidi di ferro, senza compromettere il materiale originale. Un esempio recente di questo approccio innovativo è il restauro di una vetrata del 1500, dove i restauratori hanno scelto di utilizzare due ceppi batterici specifici per affrontare problematiche legate alla presenza di resine e ossalato di calcio. In particolare, uno dei ceppi proviene dal terreno contaminato di Masua, in Sardegna, e si è dimostrato efficace contro i metalli pesanti e gli idrocarburi, mentre l’altro proviene da una tomba etrusca.

Un altro caso interessante riguarda l’utilizzo del ceppo Serratia ficaria SH7, già impiegato in interventi precedenti, come nella pulitura dei marmi della Sagrestia Nuova di Michelangelo. Questo tipo di approccio rappresenta una strada alternativa alle soluzioni tradizionali di pulitura, che potrebbero danneggiare le superfici delicate, come nel caso delle vetrate, che presentano grisaglia (silicato piombico) e potrebbero risultare compromesse da metodi aggressivi.

Grazie a queste nuove tecniche, il restauro delle opere d’arte beneficia di un’alleanza sempre più forte tra la scienza e l’arte, consentendo interventi meno invasivi e più mirati, che rispettano la storia e la delicatezza dei materiali originali. Con il continuo avanzamento della ricerca microbiologica e la costante evoluzione delle tecniche di conservazione, il mondo del restauro si prepara a scoprire nuove soluzioni ancora più efficaci per proteggere il nostro patrimonio artistico.

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Gli enzimi come soluzioni innovative per la bonifica ambientale e industriale

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Gli enzimi, potenti catalizzatori biologici, stanno emergendo come alleati fondamentali nel risanamento dell’ambiente, dalle acque reflue ai suoli contaminati. Con l’evoluzione delle biotecnologie, questi strumenti biologici si sono trasformati in risorse versatili, in grado di rispondere alle esigenze sia ambientali che industriali, contribuendo a ridurre l’impronta ecologica delle attività umane.

Frances Arnold, una delle figure più influenti in campo scientifico, ha recentemente posto l’accento sul potenziale degli enzimi nella bonifica ambientale, affermando che “la natura è la chimica più abile che esista”. Il suo approccio si concentra sul potenziamento della natura attraverso l’ingegnerizzazione di soluzioni più efficienti per risolvere i problemi legati agli inquinanti. Questo concetto trova applicazione concreta, ad esempio, nelle attività di biorisanamento, dove gli enzimi vengono impiegati per rimuovere contaminanti pericolosi da suolo, aria e acqua.

Il ruolo degli enzimi nel biorisanamento

Gli enzimi sono agenti biologici in grado di catalizzare reazioni chimiche, rendendole più rapide ed efficaci, senza alterarsi durante il processo. Laura Cipolla, docente di chimica organica applicata alle biotecnologie presso l’Università Bicocca di Milano, spiega che gli enzimi vengono utilizzati principalmente nel biorisanamento, un settore che si occupa della decontaminazione di ambienti naturali. Questi biocatalizzatori sono impiegati in numerose applicazioni industriali e ambientali, come il trattamento delle acque reflue, dove sono in grado di abbattere contaminanti organici, tra cui idrocarburi e sostanze tossiche.

Il mercato globale delle soluzioni per il trattamento delle acque è in continua espansione, con stime che indicano un valore di 600 miliardi di dollari, destinato a crescere nei prossimi anni grazie all’utilizzo sempre più diffuso degli enzimi. In particolare, le tecniche basate su enzimi microbici, come le laccasi e le perossidasi, vengono utilizzate per neutralizzare composti chimici pericolosi, incluso l’ammoniaca, i pesticidi e i metalli pesanti.

Tecnologie avanzate per la bonifica industriale

In Italia, l’attività di bonifica ambientale ha un valore di mercato che supera i tre miliardi di euro, con prospettive di forte crescita. Molti siti industriali, soprattutto nelle aree più inquinate, richiedono interventi urgenti per rimuovere sostanze dannose come i metalli pesanti, i coloranti sintetici e le plastiche. In questo contesto, la figura del biotecnologo industriale, che possiede le competenze per sfruttare le potenzialità degli enzimi, sta diventando sempre più indispensabile.

L’intervento di bonifica a Milano, ad esempio, presso un sito noto come la “Foresta della Goccia”, è un chiaro esempio di come gli enzimi possano essere utilizzati per trattare contaminazioni provenienti da attività industriali come la cromatura di metalli e il trattamento di pelli. Tatiana Stella, esperta in biotecnologie ambientali, sottolinea come l’impiego di biocatalizzatori come quelli derivati dalle piante e dai microrganismi stia portando a risultati promettenti nella decontaminazione dei terreni e delle acque, abbattendo sostanze pericolose come idrocarburi aromatici policiclici e coloranti industriali.

Un futuro più sostenibile grazie alle soluzioni naturali

Un altro esempio significativo viene da Cosimo Masini, CEO di Dnd Biotech di Pisa, che ha recentemente lavorato su un progetto di biorisanamento a livello internazionale. Il trattamento, applicato su acque sotterranee contaminate da trattamenti non idonei delle acque reflue, ha impiegato tecniche avanzate per potenziare il ciclo dell’azoto e ridurre la presenza di ammonio e nitrati. Grazie a soluzioni microbiche mirate, è stato possibile eliminare anche i coliformi, contaminanti patogeni presenti nelle acque.

In conclusione, l’impiego degli enzimi nel trattamento dei contaminanti ambientali non solo rappresenta una risposta efficace per migliorare la qualità dell’ambiente, ma si dimostra anche una strada percorribile per le industrie che vogliono ridurre la loro impronta ecologica e migliorare le loro pratiche sostenibili. Con l’adozione crescente di queste tecnologie, si apre la strada a un futuro in cui l’innovazione e la natura collaborano per preservare il nostro pianeta.

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La bonifica dei terreni dei gasometri grazie alle biotecnologie

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A Milano, nel cuore di un ex Sito di Interesse Nazionale, si sta portando avanti un’importante operazione di bonifica ambientale che coinvolge i terreni sui quali un tempo sorgevano i gasometri della città. Questo progetto, che si estende su una superficie di circa 420.000 metri quadrati, si distingue per l’approccio innovativo utilizzato: le biotecnologie.

L’intervento di recupero dei terreni, che ha visto l’impiego di 7,5 milioni di euro provenienti dal Comune di Milano e dal Fondo europeo di sviluppo regionale, ha come obiettivo la riqualificazione di un’area che ha rappresentato un importante punto di riferimento industriale per la città, ma che ora necessita di una profonda bonifica. L’iniziativa, pur trovandosi in un contesto in attesa di una maggiore pianificazione urbanistica (con un progetto di riqualificazione ideato dall’architetto Renzo Piano che rimane momentaneamente sospeso), mira a risolvere le problematiche ambientali attraverso metodi avanzati e sostenibili.

Il cuore dell’innovazione risiede nell’utilizzo di enzimi autoctoni per il fitorisanamento in situ, ovvero un approccio che agisce direttamente sul sito contaminato senza dover trasferire i materiali in altre aree. Questi enzimi vengono utilizzati per stimolare i processi naturali di biodegradazione, mirando a decontaminare il suolo e l’acqua. Tatiana Stella di M3r, una delle realtà che sta portando avanti la ricerca in questo ambito, spiega che il progetto si fonda sullo studio delle comunità microbiche presenti nelle diverse matrici ambientali contaminante. Utilizzando tecniche avanzate di biologia molecolare, è possibile identificare e quantificare i microrganismi e gli enzimi coinvolti nel processo di pulizia dell’ambiente.

Questa iniziativa è parte di un ampio partenariato pubblico-privato coordinato da Terrapreta, che coinvolge anche università, come Milano Bicocca e la Statale, oltre a cooperative e associazioni non profit. Il Comune di Milano e MM, la società di gestione del servizio idrico, sovraintendono le attività, garantendo il rispetto delle normative e il coordinamento delle varie fasi di lavoro.

Il caso della bonifica della Goccia è destinato a fare scuola e, proprio per questo, verrà discusso in occasione di un workshop internazionale che si terrà a Bilbao a fine novembre 2024, dove esperti di tutto il mondo si confronteranno su metodi e soluzioni per la riqualificazione di aree contaminate. Un esempio concreto di come l’innovazione tecnologica e la collaborazione tra pubblico e privato possano fornire risposte concrete alle sfide ambientali delle città moderne.

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L’Australia implementa la verifica facciale per divieto minori sui social

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Il governo australiano sta per introdurre una legge rivoluzionaria che vieta l’accesso ai social media ai minori di 16 anni. La misura, che segna una prima mondiale, ha suscitato dibattiti, sollevando preoccupazioni riguardo ai metodi di applicazione e alle possibili ripercussioni culturali.

A partire dal prossimo anno, il governo di Sidney impone un limite di età che prevede l’esclusione dei ragazzi sotto i 16 anni dalle principali piattaforme social, come Facebook, Instagram, TikTok e X. Questa decisione nasce dalla crescente preoccupazione riguardo ai danni alla salute mentale, soprattutto per quanto riguarda le ragazze, esposte a modelli di bellezza irrealistici, e i ragazzi, vulnerabili a contenuti misogini. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che la legge entrerà in vigore 12 mesi dopo la sua approvazione, prevista per le ultime settimane dell’anno parlamentare che inizia il 18 novembre.

La legge prevede che i social network implementino un sistema di verifica dell’età rigoroso, che potrebbe includere tecnologie avanzate come il riconoscimento biometrico e l’identificazione governativa. Il governo ha già annunciato che Meta (proprietaria di Instagram, Facebook e WhatsApp) è pronta a collaborare con le autorità per rispettare il divieto. Questo sistema di verifica, che potrebbe diventare il più severo al mondo, punta a garantire che i minori non possano accedere ai social, almeno in Australia.

L’introduzione della legge segue le crescenti preoccupazioni in tutto il mondo per l’impatto negativo dei social sulla salute mentale dei giovani. Negli Stati Uniti, ad esempio, 41 Stati hanno accusato Meta di usare tecniche che creano dipendenza tra gli utenti. Allo stesso modo, numerosi Stati hanno rivolto accuse simili contro TikTok. Le inchieste si concentrano sul presunto utilizzo di meccanismi psicologici, simili a quelli dei giochi d’azzardo, per aumentare il tempo trascorso sulle piattaforme social.

Diversi esperti di salute mentale e educatori sostengono l’idea di limitare l’accesso ai social per i minori, citando ricerche scientifiche che suggeriscono che l’uso precoce delle tecnologie possa influenzare negativamente il rendimento scolastico e lo sviluppo psicologico. Un recente studio dell’Università di Milano-Bicocca ha evidenziato che i ragazzi che iniziano ad utilizzare i social troppo presto tendono ad avere risultati scolastici inferiori rispetto a chi si avvicina a queste piattaforme più tardi.

Nonostante il largo consenso sull’opportunità di un intervento, rimangono però dei dubbi sui metodi di controllo, in particolare sull’efficacia delle tecnologie di identificazione dell’età. La possibilità che i minori possano aggirare i sistemi di rilevamento con l’aiuto di software o falsificazioni, rende la questione ancora più complessa. L’Australia, dunque, potrebbe trovarsi a fronteggiare una sfida unica, che potrebbe non essere facilmente replicabile in altre regioni, come l’Europa o gli Stati Uniti, dove la risposta alle problematiche legate ai social è ancora in fase di evoluzione.

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