Politica
Nuova fumata nera del Parlamento per l’elezione dei giudici della Consulta
Il Parlamento ha registrato la decima fumata nera nella seduta comune per l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale. Anche la votazione per l’elezione di altri tre giudici, prevista per la prima volta nella stessa seduta, ha visto un esito negativo, con nessuno dei candidati che ha raggiunto il quorum richiesto. La maggior parte delle schede è risultata bianca, con due voti dispersi.
Durante la seduta, i quorum per l’elezione dei giudici erano differenti: per il primo giudice, che dovrebbe sostituire Silvana Sciarra, il quorum richiesto era di tre quinti, mentre per gli altri tre, in scadenza a fine dicembre (il presidente Augusto Antonio Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti), il quorum era di due terzi. Sono state allestite due urne separate per le votazioni, una con schede gialle e una con schede azzurre.
Nonostante i tentativi di trovare un accordo tra i partiti, che prevede probabilmente la nomina di due giudici in quota centrodestra, uno in quota opposizione e un tecnico, il Parlamento non è riuscito a raggiungere un’intesa. Si stanno anche valutando le tempistiche per il possibile via libera, con l’ipotesi di spostare il voto a un altro scrutinio per riallineare i quorum per tutti i giudici della Consulta.
Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ha annunciato che la convocazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione dei giudici continuerà ogni settimana finché non si raggiunga un accordo.
Politica
Conte: “Il voto del Pd a Von der Leyen è un grave errore politico”
Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha fortemente criticato la decisione del Partito Democratico (Pd) di votare a favore della Commissione Europea presieduta da Ursula von der Leyen per il suo secondo mandato. Durante un intervento agli Stati Generali della Ripartenza a Bologna, Conte ha definito questo voto come un “grave errore politico”, sottolineando che non è tanto la scelta di allearsi con la destra, rappresentata da Meloni e Fratelli d’Italia (FdI), quanto la prospettiva politica che si nasconde dietro tale decisione.
Secondo Conte, la Commissione Von der Leyen 2 rappresenta una visione politica che non si allinea con i principi del progressismo: “Se vogliamo essere progressisti, dobbiamo esserlo a tutto tondo”, ha dichiarato. Secondo il leader del M5S, la Commissione europea attuale non promuove la transizione ecologica, ma si concentra principalmente su un’agenda di austerità e transizione militare, a scapito di iniziative legate al cambiamento climatico e alle politiche sociali.
Conte ha avvertito che questa visione porterà con sé tagli alla sanità e al welfare, con gravi conseguenze per i cittadini e le politiche sociali. La critica si estende anche all’abbandono di promesse come il Next Generation EU, il piano di investimenti pensato per il rilancio dell’economia post-pandemia, che secondo Conte, sotto la guida della Commissione von der Leyen, rischia di non essere realizzato nei termini più favorevoli.
In merito alla posizione del M5S, Conte ha risposto alle recenti dichiarazioni di Beppe Grillo, che aveva suggerito all’ex premier di lasciare il Movimento e di lanciarsi in un nuovo progetto politico. Conte ha replicato con fermezza, dichiarando che il Movimento 5 Stelle è la casa degli iscritti e non di una singola persona. Ha quindi difeso la propria posizione all’interno del partito, sostenendo che la sua leadership non è avulsa dagli iscritti e che le decisioni vengono prese collettivamente. “Ci viene detto ‘andatevene da un’altra parte’, ma dove dobbiamo andare?”, ha detto, ribadendo che il M5S rimane una forza collettiva, “una follia pensare il contrario”.
In sintesi, le dichiarazioni di Conte pongono l’accento su una visione politica diversa, in contrasto con quella portata avanti dalla Commissione Von der Leyen, e sulla necessità di un movimento coeso e radicato nelle istanze dei propri iscritti.
Politica
Il Consiglio dei Ministri approva il Decreto Cyber: Misure per potenziare la Cybersicurezza
Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato un decreto legge in materia di giustizia che introduce una serie di misure volte a rafforzare la cybersicurezza del Paese. Questo provvedimento arriva in un momento in cui la sicurezza digitale è diventata una priorità strategica per le istituzioni italiane, alla luce delle crescenti minacce informatiche che colpiscono sia il settore pubblico che quello privato.
Il decreto, che si inserisce in un quadro più ampio di riforme destinate a modernizzare le infrastrutture giuridiche e difensive italiane, ha l’obiettivo di migliorare la protezione dei dati sensibili e delle comunicazioni digitali, garantendo così maggiore sicurezza alle informazioni e alle reti critiche del Paese.
Le Misure Chiave del Decreto Cyber
Una delle principali misure previste dal decreto è la creazione di una struttura centrale di coordinamento, che avrà il compito di gestire e monitorare le politiche di cybersecurity a livello nazionale. Questo organismo sarà incaricato di fornire linee guida e supporto alle amministrazioni pubbliche e alle aziende private per adottare tecnologie avanzate di protezione contro attacchi hacker e altre minacce informatiche.
Il decreto prevede inoltre un rafforzamento delle infrastrutture digitali strategiche, come quelle utilizzate per la gestione delle risorse pubbliche e delle comunicazioni istituzionali, in modo da garantire che possano resistere a tentativi di intrusione o sabotaggio. Particolare attenzione è rivolta anche al rafforzamento delle capacità di monitoraggio e risposta rapida in caso di attacchi informatici, grazie all’introduzione di strumenti di analisi avanzata per individuare e neutralizzare minacce in tempo reale.
Interventi sul Settore Privato
Il decreto prevede anche misure di coinvolgimento del settore privato, che dovrà adottare pratiche di cybersicurezza più rigide. Le imprese che gestiscono dati sensibili o che operano in settori ad alto rischio, come quello bancario e quello delle telecomunicazioni, saranno obbligate a implementare sistemi di protezione avanzati e a partecipare a programmi di formazione per sensibilizzare il proprio personale sulla sicurezza informatica.
Inoltre, il governo ha annunciato l’introduzione di incentivi fiscali per le aziende che investiranno in tecnologie di cybersicurezza, al fine di stimolare un maggiore impegno nella protezione dei dati e delle infrastrutture aziendali.
Il Contesto di Adozione del Decreto
L’approvazione del decreto arriva in un contesto internazionale in cui la cybersicurezza è diventata una delle principali sfide globali, con attacchi sempre più frequenti e sofisticati che minacciano la stabilità delle democrazie, delle economie e dei sistemi sociali. L’Italia, da parte sua, ha scelto di intervenire per garantire che le proprie istituzioni e imprese siano preparate a fronteggiare queste minacce, che spaziano dalla criminalità informatica agli attacchi sponsorizzati da stati stranieri.
Il governo italiano ha sottolineato che il decreto è solo uno dei primi passi verso una maggiore digitalizzazione sicura del Paese. Sono previsti anche altri interventi normativi che miglioreranno la protezione dei dati, in linea con le politiche europee di sicurezza informatica, come il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), per garantire una difesa più robusta contro le violazioni dei dati a livello nazionale e internazionale.
Le Prossime Fasi
Il decreto dovrà ora passare all’esame del Parlamento, dove si prevede che possa essere oggetto di discussione e eventuali modifiche. Tuttavia, il governo spera che l’approvazione definitiva avvenga nel più breve tempo possibile, al fine di implementare rapidamente le misure di protezione e garantire una risposta pronta alle minacce informatiche che si stanno evolvendo rapidamente.
Con l’adozione di questo decreto, l’Italia intende dimostrare un impegno concreto verso la cyber resilience, rendendo più sicuro l’ambiente digitale e proteggendo cittadini e istituzioni dalle crescenti sfide del cyberspazio.
Politica
Nordio: “La separazione delle carriere si farà, ma serve un confronto costruttivo”
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ribadisce con fermezza la volontà del governo di proseguire con la separazione delle carriere dei magistrati, presentando il disegno di legge costituzionale che dovrebbe approdare in Aula alla Camera il 29 novembre. Secondo Nordio, questa riforma non deve essere vista come un attacco alla magistratura, ma come un passo necessario per una maggiore specializzazione del sistema giudiziario.
Il ministro sottolinea che l’introduzione della separazione delle carriere non porterà ad alcun indebolimento della democrazia, come temono alcuni settori della magistratura. Al contrario, Nordio assicura che il pubblico ministero (PM) avrà una libertà di espressione maggiore rispetto al giudice, che, essendo imparziale, dovrebbe limitare le sue dichiarazioni pubbliche per evitare conflitti di interesse su futuri procedimenti giuridici.
Nordio invita anche a “abbassare i toni” nel dibattito, spingendo per un passaggio dal conflitto al confronto, rispettando le posizioni reciproche. Si è detto consapevole delle preoccupazioni di alcuni magistrati, che temono una possibile subordinazione del PM all’esecutivo con la separazione delle carriere, ma ha ribadito che questo non accadrà.
D’altra parte, il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), Salvatore Casciaro, ha espresso dubbi sulla riforma, ritenendo che, se interpretata come una limitazione della libertà di espressione dei magistrati, potrebbe non resistere al vaglio della Costituzione. Casciaro ha sottolineato che le carriere dei magistrati sono già divise, con una netta separazione tra le funzioni, e ha sollevato preoccupazioni sull’accentramento di potere nella pubblica accusa che la riforma potrebbe portare, temendo un controllo esterno da parte dell’esecutivo.
Inoltre, la proposta di ridurre il periodo di intercettazioni a 45 giorni per alcuni reati ha sollevato un ampio dissenso tra i vertici delle procure. I procuratori di Roma, Milano e Perugia hanno bocciato la proposta, sostenendo che il limite di 45 giorni sarebbe insufficiente per indagini su reati gravi, come spaccio di sostanze stupefacenti o crimini organizzati. Francesco Lo Voi, capo dei PM di Roma, ha dichiarato che questo limite potrebbe trasformarsi in una “specie di divieto a indagare”, mentre Raffaele Cantone di Perugia ha definito il limite come “assolutamente inidoneo” per indagini complesse. Anche Alessandra Dolci di Milano ha espresso preoccupazioni sul fatto che le indagini basate su intercettazioni a scadenza parziale non forniscano una visione completa degli eventi.
La situazione appare quindi complessa, con un governo che insiste sulla riforma della separazione delle carriere, mentre una parte significativa della magistratura esprime forti riserve, soprattutto riguardo a una possibile compromissione dell’indipendenza e dell’efficacia del sistema giudiziario.
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