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Mattarella “Dall’Italia convinto sostegno all’approdo dell’Albania nell’Ue”uropa”

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“La capacità della comunità arbèreshè di preservare un così ricco patrimonio rappresenta un modello di ispirazione, parte di quella ricchezza di diversità, linguistiche e culturali, presente in Italia, tutelata dalla stessa Costituzione, proprio quale elemento essenziale di una Repubblica rispettosa delle molteplici identità che la costituiscono, e dalla legge 482 del 1999, dedicata alle minoranze linguistiche storiche”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel corso del suo intervento al Teatro del Seminario a Piana degli Albanesi, comunità a cui ha fatto visita insieme al suo omologo albanese, Bajram Begaj. “Gli arbèreshè incarnano una storia di integrazione e accoglienza che ha avuto pieno successo, un esempio di come la mutua conoscenza e il reciproco rispetto siano fonte di arricchimento culturale, e strumento di crescita per le realtà e per i Paesi in cui vivono insieme le diverse comunità. Queste comunità costituiscono, inoltre, un ponte di amicizia con i popoli albanofoni sull’altra sponda dell’Adriatico”.

“La storia recente – nella fase di transizione che ha caratterizzato i Balcani – ha visto popoli dei Paesi vicini, in particolare quello albanese, cercare nell’Italia, la speranza di costruire futuro e prospettiva di vita in un’Europa unita e senza più divisioni – ha continuato Mattarella – Tra i nostri due Paesi, oggi, si sviluppa un fortissimo interscambio, economico e culturale, avvicinando ancora di più i due popoli. Capisaldi di tale amicizia sono i valori di libertà, indipendenza e democrazia testimoniati dalla comune appartenenza all’Alleanza Atlantica e, in prospettiva, all’Unione Europea, cui l’Albania di oggi guarda con la legittima aspirazione di divenirne presto parte integrante. L’Italia è – e continuerà a essere – una convinta sostenitrice di questo approdo, da realizzare velocemente per l’intera regione dei Balcani occidentali”.

– Foto: xd6/Italpress –

Politica

Trump e Musk: una partnership sotto i riflettori tra nomine e riforme

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ADN24

Negli ultimi giorni, Elon Musk ha cercato di distogliere l’attenzione da una crescente speculazione sulla sua relazione con l’amministrazione di Donald Trump. Il magnate di Tesla ha voluto ridimensionare il suo ruolo all’interno della squadra governativa, cercando di mettere a tacere le voci su presunti conflitti con l’entourage del presidente. Musk ha chiarito che le scelte politiche, comprese le nomine recenti, sono completamente nelle mani di Trump. In un post, ha lodato il presidente come “una persona straordinaria con un eccellente senso dell’umorismo”, e ha affermato che seppur avesse espresso opinioni su alcuni candidati, tutte le decisioni finali sono state prese dal presidente stesso.

In questo scenario, Musk sta ricoprendo un ruolo strategico con Vivek Ramaswamy, entrando a far parte del dipartimento per l’efficienza governativa, il Doge, creato per razionalizzare la burocrazia statunitense e ridurre gli sprechi all’interno del governo. La missione di Musk e Ramaswamy, due imprenditori di spicco, è quella di snellire il sistema e abbattere una parte considerevole della macchina burocratica. Secondo loro, la burocrazia, in continua espansione, costituisce una minaccia esistenziale per la repubblica, e i politici hanno alimentato tale fenomeno per troppo tempo. In un articolo sul Wall Street Journal, i due imprenditori hanno esposto il loro piano: eliminare il “deep state”, quei burocrati non eletti che emettono regole e regolamenti che, secondo Musk e Ramaswamy, sono antidemocratici e costano miliardi ai contribuenti.

Il duo ha dichiarato di voler adottare un approccio radicale, non politico, operando come volontari esterni, e non come funzionari federali. Musk, da parte sua, ha già manifestato il suo ottimismo riguardo alla possibilità di ridurre i costi federali, con l’obiettivo di tagliare circa 500 miliardi di dollari, a partire da iniziative come la soppressione di sovvenzioni pubbliche e organizzazioni “progressiste” come Planned Parenthood.

Sul fronte delle nomine, Trump sta rapidamente completando la sua squadra di governo, ad appena due mesi dall’insediamento e a soli due settimane dalla sua vittoria elettorale. Tra le nomine più recenti, spicca quella di Howard Lutnik, Ceo di Cantor Fitzgerald, al commercio, il cui nome ha suscitato attenzione, dato che si era scontrato con altri candidati come Scott Bessent per il ruolo di segretario del Tesoro. Lutnik ha ricevuto il sostegno di Musk, che ha definito il manager come un “agente del cambiamento”. Tuttavia, l’unico tassello ancora mancante nella squadra è proprio il Tesoro, per il quale si prevede una nomina imminente.

Nel frattempo, le nomine più controverse stanno incontrando ostacoli. Alcune di esse, in particolare quella di Matt Gaetz alla guida del dipartimento di Giustizia, stanno sollevando perplessità tra i membri del Senato, che dovranno confermarle. JD Vance, vice presidente eletto e senatore dell’Ohio, ha preso in mano la situazione recandosi a Capitol Hill per discutere queste nomine, cercando di risolvere le resistenze interne al partito.

Mentre Trump e Musk continuano a lavorare insieme per mettere in atto le loro riforme, le dinamiche politiche all’interno del governo continuano a evolversi, con nuove sfide in arrivo e tensioni che potrebbero influenzare le prossime mosse del presidente.

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Von der Leyen blinda la Commissione 2.0: accordo raggiunto su Fitto e Ribera tra tensioni e compromessi

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ADN24

Ursula von der Leyen ha ottenuto un nuovo successo politico, sbloccando lo stallo che aveva paralizzato le trattative sulla composizione della sua Commissione 2.0. Dopo giorni di contrapposizioni tra popolari, socialisti e liberali, è stato raggiunto un accordo che garantisce il sostegno a due figure chiave: Raffaele Fitto e Teresa Ribera, entrambi nominati vicepresidenti esecutivi. La plenaria del Parlamento europeo del 27 novembre formalizzerà il compromesso, con uno scrutinio che, nonostante il dissenso dei Verdi, dovrebbe includere anche il voto favorevole di Fratelli d’Italia.

La premier Giorgia Meloni ha definito la nomina di Fitto una vittoria per l’Italia, sottolineando l’importanza strategica del ruolo ottenuto per il Paese. Anche il vicepremier Antonio Tajani ha espresso soddisfazione, augurandosi che Fitto possa contribuire al rafforzamento del ruolo italiano nella governance europea. Tuttavia, socialisti e liberali hanno espresso riserve, chiedendo che il politico italiano mantenga una posizione indipendente dal governo nazionale, una condizione inserita in un addendum al testo di accordo.

Le tensioni più forti si sono registrate intorno alla posizione di Ribera, accusata in Spagna di cattiva gestione delle alluvioni. Per superare le resistenze del Partito Popolare Europeo, è stata inclusa una clausola che prevede le sue dimissioni qualora venisse formalmente indagata. L’introduzione di questa condizione ha richiesto lunghe trattative, risoltesi solo in tarda serata con un’intesa tra le principali famiglie politiche pro-europee: PPE, S&D e Renew.

Nonostante l’accordo, i contrasti all’interno della coalizione restano evidenti. I socialisti hanno contestato la nomina di Fitto, mentre i conservatori di Fratelli d’Italia hanno chiesto al Partito Democratico di prendere le distanze dalla linea dei socialisti europei. Von der Leyen, intanto, continua a spingere per una collaborazione tra le forze politiche favorevoli a un’Europa integrata, ai diritti democratici e al sostegno all’Ucraina, principi cardine della sua presidenza.

L’accordo non ha previsto modifiche ai ruoli di Fitto e Ribera, ma ha ridotto le competenze del commissario ungherese Oliver Varhelyi, vicino a Viktor Orban. L’unico ampliamento riguarda le deleghe della socialista Roxana Minzatu, che si concentrerà su diritti sociali e lavoro di qualità. Mentre la votazione del 27 novembre si avvicina, è chiaro che le tensioni politiche all’interno della maggioranza Ursula continueranno a influenzare la nuova Commissione nei prossimi mesi.

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Schlein “Lavoriamo perchè il Governo duri il meno possibile”

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“Il 2024 è stato un lungo anno elettorale e noi siamo soddisfatti perchè si sta vedendo che un’alternativa alla destra c’è. Nelle Regioni in cui si è votato siamo partiti 6 a 1 per loro e ora siamo 4 a 3. Meloni, stiamo arrivando”.
Così la segretaria del Pd, Elly Schlein, in un’intervista al Corriere della Sera. Secondo la leader dem il successo alle ultime regionali è da scrivere a due fattori: ” l’unità e l’umiltà. L’unità non solo della coalizione, ma anche del Pd. questi elementi hanno pesato molto sul voto”. Quanto all’astensionismo osserva che “sarà un lavoro lungo: non si contrasta una tendenza strutturale che è europea in pochi mesi, ma il Pd è assolutamente determinato ad affrontare questa ferita alla democrazia”. A chi obietta però che l’alleanza scricchiola, tra veti incrociati e obiettivi, Schlein dice che “la prima questione che affronteremo insieme è la manovra su cui il governo continua a fare distrazione di massa”.

Tra le altre iniziative unitarie indica la “sanità pubblica, il congedo paritario per entrambi i genitori, sul terreno delle politiche industriali, le opposizioni tutte insieme hanno chiesto al governo di rinunciare al taglio di 4,6 miliardi al settore dell’automotive, il salario minimo e la ricostruzione per aiutare le imprese e gli agricoltori”. Sulle prospettive per la durata del governo, la segretaria del Pd chiosa: “Lavoriamo perchè duri il meno possibile visto che stanno facendo male. Hanno fatto tre manovre senza visione, senza investimenti e quest’ultima, in particolare, è recessiva. La coperta è corta e bisogna usare bene le risorse. Questo governo, però, sta imboccando la strada opposta e le sta usando male. Questa è una manovra senza prospettive per l’Italia. Quindi, noi lavoriamo per arrivare a elezioni prima della scadenza perchè, visti i danni di questi due anni, non vogliamo vederne altri per i prossimi tre”-

-Foto: Agenzia Fotogramma-

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