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Decreto fisco: scontro sul 2 per mille ai partiti, il Quirinale dice no

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Un emendamento del governo al decreto Fisco mira a riformare il 2 per mille, la quota dell’Irpef che i contribuenti possono destinare ai partiti politici, riducendo formalmente l’aliquota allo 0,2 per mille ma introducendo un cambiamento significativo: anche la quota di chi non esplicita una scelta verrebbe automaticamente destinata ai partiti.

Se l’emendamento fosse approvato, dal prossimo anno il finanziamento pubblico ai partiti potrebbe quasi raddoppiare, arrivando a oltre 40 milioni di euro rispetto agli attuali circa 20 milioni. Tuttavia, il provvedimento ha sollevato critiche e ostacoli, con un intervento deciso del Quirinale. Il testo, infatti, rischia di non superare il vaglio degli uffici del Colle per diversi motivi.

Innanzitutto, la proposta appare slegata dalla materia fiscale a cui il decreto dovrebbe essere limitato, risultando dunque fuori contesto. Inoltre, la forma dell’emendamento è giudicata inappropriata, sollevando dubbi sia sul metodo sia sul contenuto. Il punto più controverso, però, riguarda il principio di libertà di scelta: la redistribuzione automatica delle quote dei contribuenti che non esprimono preferenze viene considerata una forma di imposizione, in contrasto con il diritto alla libera destinazione di tali fondi.

Il dibattito è già acceso: sostenitori dell’emendamento sostengono che garantirebbe maggiori risorse per il funzionamento dei partiti, visti come pilastri della democrazia. Dall’altra parte, i critici lo vedono come un tentativo di finanziare indirettamente i partiti, bypassando la volontà dei cittadini.

Lo stop del Quirinale segna una battuta d’arresto per il governo, che potrebbe essere costretto a ritirare o riformulare l’emendamento. Nel frattempo, la questione alimenta polemiche politiche e suscita perplessità tra i contribuenti, che vedono in questo provvedimento un’ingerenza nella gestione delle proprie scelte fiscali.

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