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Rende | Il Racket delle estorsioni paralizza le imprese

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Il fenomeno del “pizzo” è una realtà tangibile, una sorta di bolletta che negozianti e imprenditori si vedono costretti a pagare, spesso a rate fisse, ai vari esattori della rete criminale che domina, impoverisce e terrorizza non solo l’economia locale, ma, come dimostrano le numerose inchieste della DDA di Catanzaro, l’intera provincia. Si tratta di una tassa imposta dall’illegalità, ebbene pagata da tutti, anche da coloro che, anche se in pochi, preferirebbero chiudere per sempre piuttosto che sottomettersi.

Le indagini “Reset” e “Recovery” hanno gettato luce, nel giro di un anno, sui meccanismi di questa oscura pratica, mettendo in risalto, al di là dell’innocenza presumibile degli indagati fino alla conferma definitiva delle accuse, i lati oscuri e le molte zone d’ombra della società e soprattutto dell’economia cosentina. Le ordinanze emesse in seguito a queste indagini narrano, con ricchezza di dettagli, gli scenari nei quali agiscono gli uomini del racket, delineando un copione sinistro di intimidazioni e minacce, che non esitano a trasformarsi in azioni violente, come l’uso del fuoco e dei proiettili, per piegare i “cattivi pagatori”.

Il fenomeno non è un tabù segreto, ma una realtà evidente che emerge anche dall’indagine condotta dalla Confcommercio, la quale rivela che circa il 25% delle imprese cosentine (contro poco più del 24% della media nazionale) vive nell’ombra del racket delle estorsioni, oltre che dell’usura. Quest’ultima, spesso, agisce in perfetta sinergia con il “pizzo”. Questo dato non solo conferma la diffusa paura tra gli imprenditori, ma anche il silenzio e la mancanza di denunce, alimentando così il perpetuarsi di un sistema criminale che continua a prosperare nell’oscurità.

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