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L’esito choc dell’autopsia: “Giada Zanola era ancora viva quando fu gettata dal cavalcavia”

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Emergono nuovi dettagli sulla morte di Giada Zanola, gettata dal fidanzato dal cavalcavia dell’autostrada A4 all’altezza di Vigonza durante una lite. Secondo le prime evidenze dell’autopsia, la ragazza era ancora viva quando è stata scaraventata sulla strada. Lo riporta il Corriere della Sera, citando fonti autorevoli che escludono segni di strangolamento o ferite da arma da taglio sul corpo della donna, madre di un figlio. Gli inquirenti ipotizzano che Andrea Favero possa averla tramortita prima di gettarla dal cavalcavia per agire con maggiore facilità.

I risultati definitivi, inclusi quelli tossicologici per verificare se la donna sia stata drogata o avvelenata come lei stessa temeva, non sono ancora stati comunicati. Alcuni segni sul collo risalirebbero a giorni precedenti, come la donna aveva riferito a un’amica parlando delle aggressioni del marito. Attualmente, l’uomo è in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Dal carcere, ha revocato il mandato al suo avvocato entro 24 ore dall’affidamento e si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio di garanzia. Ha raccontato di non ricordare i dettagli dell’evento, dicendo solo che erano a casa, hanno iniziato a litigare e Giada si è allontanata verso il cavalcavia.

I dettagli della morte della ragazza saranno noti solo tra qualche settimana. Per ora, il medico legale non ha potuto indicare l’orario della morte, complicato dalle lesioni causate dalla caduta e dall’arrotamento di un tir che non ha evitato il corpo della donna. Servirà almeno un mese per avere risposte definitive. Gli inquirenti mantengono aperte tutte le piste, incluso il revenge porn come possibile movente.

Nel fermo firmato dal sostituto procuratore di Padova, Giorgio Falcone, si legge che l’indagato ha subito una serie di “colpi” che lo hanno portato a perdere la testa e a uccidere Zanola. Tra questi, l’annullamento delle nozze, i problemi economici, la convivenza difficile, la possibile separazione definitiva e le minacce della donna di togliergli il figlio. Tutte circostanze che, secondo il pm, hanno contribuito a scatenare il corto circuito che ha condotto all’omicidio.

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