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Il Caso Sinner: “Anti-Doping come inquisizione”

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Il recente caso che coinvolge Jannik Sinner ha riacceso il dibattito sulle normative anti-doping nel mondo dello sport. Giovanni Fontana, esperto legale in materia, ha espresso preoccupazioni significative riguardo all’inversione dell’onere probatorio in questi casi. Secondo lui, l’atleta risulta colpevole fino a prova contraria, rendendo la sua posizione particolarmente fragile. Sinner dovrà dimostrare la propria innocenza, una situazione che ricorda i metodi della Santa Inquisizione.

Al centro della controversia vi è la presenza di Clostebol, una sostanza anabolizzante rintracciata in quantità infinitesimali nelle urine del tennista. Fontana sottolinea che, in un contesto come quello attuale, è fondamentale stabilire se l’assunzione della sostanza sia avvenuta consapevolmente. Se dovesse emergere che il fisioterapista di Sinner è stato responsabile dell’uso del farmaco, ciò potrebbe alleggerire la responsabilità dell’atleta e favorire la sua assoluzione.

Fontana ha anche evidenziato come, in Italia, i casi di positività al Clostebol non siano rari, ma spesso riguardino atleti che hanno commesso errori involontari piuttosto che un uso deliberato di sostanze dopanti. Inoltre, la sostanza in questione non è più considerata all’avanguardia nel doping, poiché esistono molecole più efficaci. La crescente attenzione alla prevenzione e ai controlli ha contribuito a ridurre il doping nel mondo sportivo, sebbene i rischi legati all’interpretazione dei risultati rimangano.

La vicenda di Sinner pone interrogativi cruciali sul sistema anti-doping e sulla protezione degli atleti. La pressione che si esercita su di loro in queste circostanze è enorme, e la necessità di garantire equità e giustizia è più che mai attuale. Mentre il caso prosegue, l’attenzione rimane alta, non solo per la carriera di Sinner, ma anche per il futuro delle normative anti-doping nel tennis e oltre.

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