Economia
Economia | Costi materia prima e cambiamento climatico: il caffè al bar potrebbe arrivare a 2 euro
I prezzi del caffè stanno seguendo una traiettoria di crescita inarrestabile, con il rischio che una tazzina di caffè al bar possa presto costare fino a 2 euro. Questo incremento è dovuto a una combinazione di fattori che stanno influenzando pesantemente il costo del caffè verde, la materia prima fondamentale per la preparazione di questa bevanda amata dagli italiani.
Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè, ha sottolineato che negli ultimi tre anni il prezzo del caffè al bar è aumentato del 15%, raggiungendo attualmente una media di 1,50 euro per tazzina. Le previsioni indicano un possibile ulteriore incremento nei prossimi mesi. Il prezzo del caffè verde, che oggi si attesta a 2,45 dollari per libbra, ha visto un aumento del 66% rispetto all’anno scorso e oltre il doppio rispetto a tre anni fa.
Il cambiamento climatico è una delle principali cause di questa situazione. Le condizioni meteorologiche estreme, come le piogge torrenziali in Brasile e la siccità in Vietnam, stanno colpendo le aree di coltivazione del caffè e potrebbero ridurre significativamente le aree coltivate entro il 2050. Inoltre, il canale di Suez, le cui problematiche logistiche hanno influito sull’aumento dei costi e sull’allungamento dei tempi di consegna, e le speculazioni sulle materie prime stanno contribuendo alla pressione sui prezzi.
Nel biennio 2022/2023, il costo di produzione per illycaffè è aumentato del 17%, ma l’azienda ha trasferito solo una parte di questo incremento ai consumatori. Sono stati applicati aumenti del 3% nei primi mesi del 2022 e del 2023. Tuttavia, se la tendenza al rialzo dovesse continuare, la società potrebbe dover rivedere questa politica e considerare ulteriori aumenti di prezzo.
Questo scenario mette in luce le difficoltà che i produttori e i consumatori stanno affrontando a causa delle dinamiche globali che influenzano il mercato del caffè. La situazione evidenzia la necessità di adattarsi a un contesto in continuo cambiamento, dove le sfide climatiche e logistiche giocano un ruolo cruciale nel determinare il costo di beni di largo consumo come il caffè.
Economia
Istat, a gennaio aumento dell’1,6% dei prezzi alla produzione dell’industria
A gennaio, l’aumento congiunturale e l’accelerazione della crescita tendenziale dei prezzi alla produzione dell‘industria sono principalmente spiegati dai forti rialzi dei prezzi della componente energetica (in particolare della fornitura di energia elettrica e gas) sul mercato interno; al netto di tale componente, i prezzi sono pressoché stazionari su base mensile e mostrano una crescita su base annua molto più contenuta.
Sul mercato interno, accelera ulteriormente la crescita tendenziale dei prezzi dei beni di consumo (+1,8%, da +1,5% di dicembre) e dei beni strumentali (+0,6%, da +0,4% di dicembre), e i prezzi dei beni intermedi – in flessione da maggio 2023 – tornano a crescere su base annua, per quanto in misura modesta (+0,1%). Per le costruzioni, i prezzi registrano nuovi aumenti su base mensile, seppur contenuti; su base annua, sono stazionari per edifici, in modesto aumento per strade. E’ quanto emerge dall’indagine Istat sui prezzi alla produzione dell’industria e delle costruzioni. In particolare, a gennaio 2025, i prezzi alla produzione dell’industria aumentano dell’1,6% su base mensile e del 4,4% su base annua (era +1,1% a dicembre). Sul mercato interno i prezzi crescono del 2,0% rispetto a dicembre 2024 e del 6,0% su base annua (da +1,3% del mese precedente). Al netto del comparto energetico, i prezzi registrano un aumento congiunturale modesto (+0,2%) e una crescita tendenziale molto più contenuta (+0,8%; era +0,5% a dicembre)
Sul mercato estero i prezzi aumentano dello 0,4% su base mensile (+0,4% area euro, +0,3% area non euro) e dell’1,0% su base annua (+0,9% area euro, +1,1% area non euro). Nel trimestre novembre 2024-gennaio 2025, rispetto al precedente, i prezzi alla produzione dell’industria crescono del 2,5% (+3,4% mercato interno, +0,4% mercato estero). A gennaio 2025, fra le attività manifatturiere, gli aumenti tendenziali più elevati riguardano prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+2,5%) e altre industrie manifatturiere, riparazione e installazione di macchine e apparecchiature (+2,2%), sul mercato interno, e coke e prodotti petroliferi raffinati (+6,7% area euro, +5,6% area non euro) e industria del legno, della carta e stampa (+7,0% area euro), sul mercato estero.
Cali tendenziali si rilevano per un numero limitato di settori, i più ampi per articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-1,5% area euro) e prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (-1,5% area non euro). Sul mercato interno, la crescita su base annua dei prezzi della fornitura di energia elettrica e gas è in forte accelerazione (+18,1%, da +3,6% di dicembre 2024). A gennaio 2025, i prezzi alla produzione delle costruzioni per Edifici residenziali e non residenziali crescono dello 0,3% su base mensile e sono stazionari su base annua (era -0,2% il mese precedente); quelli di Strade e Ferrovie aumentano dello 0,6% in termini congiunturali e dello 0,1% in termini tendenziali (da -0,5% di dicembre 2024).
– foto screenshot dati Istat –
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Economia
Record di Recupero Fiscale: Nel 2024 L’Agenzia delle Entrate Incassa 33,4 Miliardi
Nel 2024, l’Agenzia delle Entrate (AdE) ha recuperato 33,4 miliardi di euro, segnando un record storico per il paese. Anche al netto delle misure straordinarie, come i condoni, gli incassi sono stati i più alti mai registrati. Questi incassi sono stati record anche in termini reali, anche se la differenza con gli anni passati è meno marcata. Gli incassi ordinari hanno raggiunto l’1,27% del PIL, superando il precedente record stabilito nel 2022. Lo ha reso noto l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, diretto da Carlo Cottarelli.
Nel 2024, l’Agenzia delle Entrate ha incassato 33,4 miliardi di euro dal recupero di evasione fiscale. Di questi, 26,3 miliardi sono stati recuperati da importi dovuti direttamente allo Stato, mentre 7,1 miliardi sono stati riscossi per conto di altri enti, come INPS, INAIL e i comuni. Questo risultato è un record assoluto, in continuità con i recuperi degli anni precedenti, eccetto il periodo 2020-2021, quando alcune attività di recupero erano state sospese a causa della pandemia.
Per comprendere quanto del recupero sia strutturale, bisogna distinguere tra l’attività ordinaria dell’AdE e le misure straordinarie, come la rottamazione delle cartelle. Sebbene la rottamazione consenta l’incasso di somme, ciò avviene con forti sconti. Si stima che, grazie alla rottamazione, i contribuenti abbiano pagato in media solo il 72,2% del dovuto. Nonostante ciò, i dati sono positivi: il recupero ordinario ha raggiunto i 27,7 miliardi, il livello più alto dal 2017, con un significativo aumento rispetto al 2023. Inoltre, quando si porta il dato a prezzi costanti, utilizzando il deflatore del PIL, il recupero ordinario nel 2024 ha raggiunto i 24,5 miliardi a prezzi del 2020, superando il precedente massimo del 2022 di 2,3 miliardi.
Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha attribuito l’aumento del recupero non solo allo sforzo dell’Agenzia delle Entrate, ma anche alle specifiche norme del Governo, come quella contro le partite IVA “apri e chiudi”. L’AdE ha segnalato la chiusura di 5.869 imprese di questo tipo, sebbene non siano disponibili dati sulle somme recuperate da queste attività. Oltre a questa misura, una parte dell’incasso è attribuibile alla rottamazione quater, che, tuttavia, ha comportato anche mancate entrate per lo Stato e rischi di disparità di trattamento tra chi ha regolarmente pagato le tasse e chi ha beneficiato della misura.
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Economia
“Bitcoin il nuovo oro”: Trump inserisce le cripto nelle riserve strategiche, ma il mercato boccia la proposta
Il mercato ha reagito negativamente all’ultima mossa di Donald Trump, che ha firmato un ordine esecutivo che istituisce una “riserva strategica di Bitcoin” negli Stati Uniti. Nonostante l’ambiziosa idea di trasformare la criptovaluta in una riserva strategica simile all’oro, il prezzo del Bitcoin ha subito una flessione significativa, crollando fino al 5,7% subito dopo l’annuncio.
Il concetto dietro la riserva di Bitcoin proposto dal presidente americano è che il governo federale possieda una grande quantità di Bitcoin confiscati come parte di procedimenti penali o civili. Questo approccio, secondo David Sacks, consigliere della Casa Bianca per l’intelligenza artificiale e le criptovalute, non costerà ai contribuenti un centesimo, poiché i Bitcoin sono stati sequestrati nel corso di indagini e non acquistati con fondi pubblici.
Attualmente, il governo degli Stati Uniti possiede circa 200.000 Bitcoin, il cui valore attuale è stimato intorno ai 17,5 miliardi di euro. Nonostante l’idea di trasformare questi Bitcoin in una riserva simile a quella di Fort Knox, il governo non prevede di vendere mai le monete virtuali depositate, ma piuttosto di mantenerle come una riserva di “oro digitale”, un termine che fa riferimento all’importanza crescente che il Bitcoin sta acquisendo come strumento di investimento e valore.
Inoltre, secondo l’ordine esecutivo firmato da Trump il 6 marzo, i segretari al Tesoro e al Commercio sono autorizzati a sviluppare strategie per l’acquisizione di ulteriori Bitcoin, ma con la condizione che tali operazioni non comportino alcun costo per i contribuenti americani. L’idea è che queste acquisizioni avvengano senza influire sul bilancio federale, ma ciò non sembra aver rassicurato il mercato.
Nonostante la retorica di Trump che paragonava il Bitcoin all’oro e ne esaltava il valore, il mercato ha risposto negativamente. Subito dopo l’annuncio, il valore del Bitcoin ha registrato un crollo del 5,7%, mettendo in luce come la proposta non abbia trovato un’accoglienza favorevole tra gli investitori. Questo calo potrebbe essere interpretato come un segnale di scetticismo riguardo alla sostenibilità e all’efficacia dell’idea di utilizzare il Bitcoin come riserva strategica.
Molti analisti ritengono che l’ordine esecutivo di Trump possa essere visto come una mossa simbolica più che una strategia economica solida. La volatilità del Bitcoin, insieme all’incertezza sul suo futuro legale e normativo, potrebbe spiegare la reazione negativa degli investitori, che vedono il rischio associato all’adozione di una criptovaluta come riserva strategica per il governo.
L’idea di Trump di inserire il Bitcoin nelle riserve strategiche degli Stati Uniti, pur essendo una proposta innovativa, non ha trovato il consenso sperato nel mercato. Sebbene il governo americano possieda una quantità considerevole di Bitcoin, la volatilità della criptovaluta e le incertezze legate alla sua regolamentazione continuano a suscitare dubbi tra gli investitori. La strada per rendere il Bitcoin una riserva stabile e affidabile sembra ancora lunga, e sarà interessante vedere come si evolverà il dibattito su questo tema nelle prossime settimane.
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