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SAI CHE… La prima fotografia della luna è stata scattata… ?

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Si celebra un momento significativo nella storia della fotografia: il primo dagherrotipo della luna, realizzato nel 1840 da John W. Draper presso l’osservatorio della New York University. Questa immagine rappresenta non solo un’opera pionieristica nel campo della fotografia, ma anche un’affascinante testimonianza della curiosità umana verso il cielo.

Il dagherrotipo, un’invenzione di Louis Jacques Mandé Daguerre, rappresenta una delle prime tecniche fotografiche. Consisteva nell’utilizzare una lastra di rame ricoperta di argento, sensibilizzata alla luce tramite vapori di iodio. Dopo un’attesa di circa dieci-quindici minuti, il risultato era un’immagine che, seppur imperfetta, conservava il suo incredibile fascino. La foto di Draper, sebbene danneggiata nel tempo, cattura la luna in tutto il suo splendore, evidenziando la sua forma crescente in un contesto di meraviglia e scoperta.

Oltre a questo scatto iconico, Draper si distinse anche per le sue prime fotografie di volti umani, utilizzando metodi innovativi per aumentare il contrasto, come l’applicazione di farina sul viso della sua assistente. Queste esperienze formative segnarono l’inizio di una nuova era nella rappresentazione visiva.

La carriera di Draper non si limitò alla fotografia. Fu un intellettuale poliedrico, noto per i suoi contributi in ambito storico, filosofico e scientifico, nonché per la legge di Grotthuss-Draper, che tratta delle radiazioni. La sua eredità, quindi, va ben oltre la fotografia, rappresentando un capitolo fondamentale nella storia della scienza e della cultura.

La prima immagine della luna di Draper ci invita a riflettere sull’evoluzione della fotografia e sulla continua ricerca dell’umanità di esplorare l’ignoto. Questo scatto rimane un simbolo del connubio tra arte e scienza, rivelando il potere delle immagini di catturare la meraviglia del nostro universo.

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SAI CHE… Il gatto di Schrödinger sopravvive… ?

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Un’eccezionale scoperta nel campo della fisica quantistica è stata recentemente effettuata da un gruppo di ricercatori cinesi dell’Università della Scienza e della Tecnologia della Cina, che sono riusciti a mantenere il paradosso del gatto di Schrödinger per un tempo sorprendente di 23 minuti. Questo risultato, pubblicato su un importante sito di pre-stampa scientifica, segna un significativo passo avanti nella comprensione degli stati quantistici e delle loro applicazioni pratiche.

Il paradosso del gatto di Schrödinger, formulato dal fisico Erwin Schrödinger, illustra la complessità della sovrapposizione quantistica, in cui un gatto in una scatola può essere considerato sia vivo che morto fino a quando non viene osservato. Questo concetto mette in evidenza le stranezze della meccanica quantistica, in cui gli stati degli oggetti non possono essere definiti finché non vengono misurati. Fino a oggi, esperimenti precedenti avevano dimostrato la sovrapposizione quantistica, ma per periodi molto brevi, spesso limitati a millisecondi.

Nel nuovo studio, il team ha innovato utilizzando atomi di itterbio intrappolati da fasci di luce laser e raffreddati a temperature estremamente basse, poco sopra lo zero assoluto. Questa configurazione ha permesso agli scienziati di mantenere ciascun atomo in una sovrapposizione di due stati quantistici per 23 minuti, un tempo record. La chiave del successo è stata la capacità di sintonizzare i laser in modo da preservare la stabilità di questi stati, evitando il collasso in un singolo stato definito.

Questa scoperta non solo rappresenta una pietra miliare nella fisica quantistica, ma potrebbe anche avere applicazioni future nella costruzione di dispositivi quantistici più robusti e nella memoria quantistica. Inoltre, la ricerca potrebbe condurre a nuove scoperte nel campo delle interazioni magnetiche e dei fenomeni esotici, ampliando la nostra comprensione della fisica fondamentale. La comunità scientifica guarda con interesse a questo studio, considerandolo un importante passo verso nuove frontiere nella ricerca quantistica.

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SAI CHE… C’è una verità sul mercurio nel tonno?

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Una nuova inchiesta ha rivelato una situazione preoccupante riguardante il mercurio presente nel tonno in scatola, uno dei prodotti alimentari più consumati in Europa. L’ong Bloom ha condotto un’analisi approfondita su 148 campioni di tonno provenienti da vari paesi europei, scoprendo che il 100% di essi era contaminato da mercurio. In particolare, oltre il 57% delle lattine testate superava i limiti di mercurio consentiti per altre specie ittiche, con un campione che ha mostrato un contenuto fino a 13 volte superiore al limite stabilito.

Questa contaminazione solleva interrogativi sulla gestione dei limiti di mercurio nel tonno, che sono significativamente più alti rispetto ad altri pesci, come il merluzzo. Secondo l’inchiesta, non esiste alcuna giustificazione sanitaria valida per queste differenze: le autorità pubbliche, influenzate da forti pressioni economiche, avrebbero fissato soglie di mercurio per garantire la commercializzazione del tonno, ignorando i rischi per la salute.

L’ong ha messo in luce anche possibili conflitti di interesse tra i membri delle organizzazioni internazionali che stabiliscono gli standard di sicurezza alimentare. Questa situazione ha portato alla richiesta di un intervento immediato per modificare le regolamentazioni attuali, al fine di proteggere i consumatori da una sostanza così dannosa per la salute, in particolare per i bambini e le donne in gravidanza.

In risposta a queste preoccupazioni, Bloom e Foodwatch hanno lanciato un’iniziativa per chiedere un abbassamento dei limiti di mercurio nel tonno a livelli simili a quelli di altri pesci, oltre a una serie di misure per tutelare la salute pubblica. Le due organizzazioni stanno mobilitando anche i distributori europei affinché assumano responsabilità e intraprendano azioni concrete per proteggere i consumatori.

La situazione evidenziata dall’inchiesta mette in luce un serio scandalo che coinvolge la salute pubblica e l’integrità delle normative alimentari, richiedendo un’attenzione urgente e un cambiamento significativo per garantire alimenti più sicuri per tutti.

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SAI CHE… Le Ostriche un tempo furono uno spuntino quotidiano?

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Le ostriche, oggi considerate un cibo di lusso e simbolo di raffinatezza, hanno una storia affascinante che le colloca in un contesto ben diverso nel passato. Questo mollusco, che ora è spesso associato a cene eleganti e champagne, era un tempo uno spuntino comune, consumato da persone di ogni ceto sociale.

La pratica di mangiare ostriche risale a millenni fa, con prove archeologiche che indicano come i nostri antenati ne facessero ampio uso. Seppur ci sia incertezza riguardo alle origini dell’ostricoltura, sembra che i cinesi siano stati tra i primi a sviluppare tecniche di allevamento. Nell’antica Roma, le ostriche erano parte integrante della dieta quotidiana, apprezzate da tutti, indipendentemente dalla loro posizione sociale. Personaggi storici come Lucullo, noto per i suoi banchetti sontuosi, le consideravano un antipasto immancabile.

Con il passare del tempo, soprattutto durante l’era giulio-claudia, l’immagine delle ostriche cambiò radicalmente. Sotto l’impero di Nerone, infatti, queste divennero un simbolo di status, accessibili solo ai benestanti. Le ostriche romane non provenivano solo dalle acque mediterranee, ma anche dalla Britannia, evidenziando il vasto commercio di questo alimento. Le stazioni di ostricoltura rinvenute lungo le coste italiane e francesi testimoniano l’importanza economica e sociale di queste creature marine.

Durante il periodo elisabettiano, le ostriche continuarono a essere un alimento popolare, addirittura consumate nei teatri, quasi come se fossero popcorn moderni. Le grandi quantità di gusci ritrovati in luoghi come il teatro The Rose di Londra dimostrano quanto fossero diffuse.

Tuttavia, la Rivoluzione industriale segnò un cambiamento drastico. L’introduzione delle navi a vapore e la pesca intensiva portarono a un depauperamento delle risorse di ostriche, che furono colpite da una pesca non regolamentata. I banchi di ostriche, un tempo abbondanti, iniziarono a scomparire, influenzando non solo la disponibilità di questo alimento, ma anche l’ecosistema marino nel suo complesso.

Oggi le ostriche sono lontane dal loro passato di spuntino quotidiano. La loro rarità e il loro costo elevato rappresentano una chiara indicazione dei cambiamenti ecologici e sociali avvenuti nel corso dei secoli. Questo viaggio attraverso la storia delle ostriche ci offre una riflessione sull’importanza della sostenibilità e della preservazione delle risorse marine, affinché un giorno possano tornare a essere un alimento accessibile a tutti.

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