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Lo Studio | Ecco la vera età nella quale si inizia ad invecchiare

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La percezione dell’età anziana ha subito dei cambiamenti significativi nel corso degli anni. In passato, l’inizio della terza età era solitamente collocato a un’età più giovane rispetto a oggi. Uno studio condotto dalla Humboldt University di Berlino ha evidenziato questa evoluzione: dai dati raccolti da oltre 14.000 partecipanti di età compresa tra i 40 e i 100 anni, si è constatato che l’età considerata “anziana” è stata spostata in avanti nel tempo.

Ad esempio, i nati nel 1931 indicavano l’inizio della vecchiaia intorno ai 74 anni quando avevano 65 anni, mentre quelli nati nel 1944 ritenevano che l’età avanzata iniziasse intorno ai 75 anni alla stessa età. Anche se non è stato possibile intervistare direttamente i nati nel 1911 quando avevano 65 anni, i modelli suggeriscono che avrebbero considerato l’inizio della vecchiaia intorno ai 71 anni.

Questo spostamento dell’età anziana sembra ora in via di stabilizzazione, con poche differenze apprezzabili tra le generazioni successive. Tuttavia, è interessante notare che all’aumentare dell’età, le persone tendono a spostare l’età in cui si definirebbero anziane ancora più in là, rispetto alla loro età attuale. Questo potrebbe essere influenzato dagli stereotipi sociali legati all’idea di vecchiaia, soprattutto nelle società occidentali.

Le donne tendono generalmente a spostare l’inizio della vecchiaia a un’età leggermente più avanzata rispetto agli uomini, mentre le persone con problemi di salute tendono a farlo leggermente prima rispetto a coloro che godono di una buona salute. Tuttavia, nessuno di questi fattori, né il livello di istruzione né l’età percepita, sembra spiegare completamente il cambiamento nell’età considerata anziana. Potrebbe invece essere influenzato dall’allungamento dell’aspettativa di vita e dalla tendenza a ritirarsi dal lavoro più tardi rispetto al passato.

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Il silenzio dello spazio: perché non possiamo ascoltare nulla nello spazio

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Nel vasto vuoto dello spazio, una delle peculiarità più affascinanti riguarda la totale assenza di suono. A differenza di quello che sperimentiamo quotidianamente sulla Terra, dove le onde sonore viaggiano attraverso l’aria e raggiungono i nostri orecchi, nello spazio queste onde non hanno un mezzo attraverso cui propagarsi.

Il suono, infatti, è una vibrazione che si diffonde in un materiale come aria, acqua o metallo, ma nel vuoto interplanetario non c’è nulla che possa permettere alle vibrazioni di muoversi. Questo significa che se ci trovassimo nello spazio, anche se qualcuno ci parlasse o ci fosse un’esplosione, non potremmo sentire nulla. Sarebbe come trovarsi in una stanza completamente silenziosa, ma a una scala cosmica.

Questa assenza di suono nello spazio è una delle prime cose che gli astronauti notano quando eseguono le loro missioni. Sebbene all’interno delle navette spaziali o delle stazioni orbitanti ci sia aria e quindi sia possibile sentire i suoni, una volta fuori, nello spazio aperto, il silenzio è assoluto.

Anche se il concetto di vuoto spaziale può sembrare inquietante, in realtà questa mancanza di suono ci offre una meravigliosa opportunità: un ambiente completamente privo di interferenze sonore, dove si può concentrarsi sul panorama mozzafiato e sul mistero infinito che ci circonda.

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Vega E: la nuova frontiera del trasporto spaziale con 350 milioni di euro di investimento Esa

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n una mossa rivoluzionaria, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha destinato ben 350 milioni di euro per lo sviluppo del Vega E, un lanciatore di nuova generazione destinato a trasformare il panorama del trasporto spaziale. Questo investimento significativo sottolinea l’impegno dell’ESA nel mantenere il vantaggio competitivo dell’Europa nell’industria spaziale globale.

Il Vega E, evoluzione del Vega C, rappresenta un salto tecnologico monumentale. A differenza del suo predecessore, il nuovo lanciatore presenterà una configurazione a 3 stadi, sostituendo l’attuale design a 4 stadi. Il cuore di questa innovazione è lo stadio superiore a propellente liquido alimentato a metano e ossigeno liquido, che offre prestazioni superiori rispetto ai propellenti solidi utilizzati nel Vega C.

Una delle principali caratteristiche del Vega E è la sua capacità di carico: potrà trasportare fino a 3 tonnellate metriche in orbita bassa terrestre (LEO), un notevole miglioramento rispetto alle 2,3 tonnellate del Vega C. Questo incremento di capacità apre nuove possibilità per missioni spaziali più ambiziose, come il lancio di satelliti per l’osservazione della Terra e per telecomunicazioni.

Il nuovo stadio superiore a propellente liquido non solo migliorerà le prestazioni del veicolo, ma offrirà anche una maggiore flessibilità operativa, permettendo inserimenti orbitali più precisi e supportando una gamma più ampia di profili di missione. Con l’aumento della domanda di lanci satellitari, il Vega E garantirà che l’Europa rimanga un attore di primo piano nel mercato globale dei lanci spaziali.

Il finanziamento non si limita al lanciatore stesso, ma include anche un potenziamento dei sistemi a terra del Vega C, permettendo fino a sei lanci all’anno. Questo miglioramento incrementerà l’efficienza e la reattività del programma di lancio, riducendo il tempo tra un lancio e l’altro.

Infine, il passaggio a metano e ossigeno liquido per lo stadio superiore rappresenta un passo importante verso sistemi di lancio più ecologici. Il metano, rispetto ai propellenti solidi tradizionali, è un combustibile più pulito, riducendo l’impatto ambientale dei lanci spaziali e rispondendo alle crescenti preoccupazioni per la sostenibilità ambientale.

Il Vega E segna una nuova era per il trasporto spaziale europeo, migliorando capacità, efficienza e sostenibilità, e consolidando il ruolo dell’ESA come protagonista nel settore spaziale globale.

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Un container hi-tech per coltivare micro-ortaggi sulla Luna: un passo verso la sostenibilità nelle missioni spaziali

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Un’innovazione straordinaria sta catturando l’attenzione del mondo scientifico: un container hi-tech progettato per coltivare micro-ortaggi sulla Luna. Questo progetto pionieristico, sviluppato dal Centro di Ricerca ENEA Casaccia di Roma e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), segna un passo fondamentale verso la sostenibilità delle missioni spaziali a lungo termine.

Il container, conosciuto come Hort3, è stato progettato per funzionare in ambienti estremi, come la Luna e i poli terrestri. Utilizzando tecniche avanzate di coltivazione idroponica in un ambiente chiuso e controllato, garantisce la crescita ottimale di micro-ortaggi in condizioni di gravità ridotta e temperature estreme. Con uno spazio di appena 1 m³, il sistema è in grado di coltivare diverse specie di micro-ortaggi, sfruttando luci LED per fornire l’illuminazione necessaria alla crescita delle piante.

Questo progetto non solo riduce la necessità di trasportare grandi quantità di provviste dalla Terra, abbattendo i costi e i rischi associati ai rifornimenti, ma contribuisce anche a migliorare la dieta e la salute degli astronauti durante missioni prolungate. I micro-ortaggi, ricchi di nutrienti essenziali e antiossidanti, potrebbero rappresentare una fonte importante di cibo fresco per gli astronauti.

Il progetto prevede esperimenti con varietà specifiche di ravanelli, come il Daikon e il Rioja, selezionati per la loro capacità di crescere rapidamente e fornire un alto valore nutritivo. Questi ortaggi sono ideali per l’ambiente controllato del container, che permette di ottenere risultati rapidi e sicuri.

Infine, l’uso di tecniche avanzate di realtà virtuale consente di simulare le condizioni di coltivazione lunare, identificando e risolvendo eventuali criticità, ottimizzando così il design e le operazioni del modulo di coltivazione. Un passo significativo verso un futuro in cui la coltivazione di cibo nello spazio potrebbe diventare una realtà quotidiana, riducendo la dipendenza dalle forniture terrestri e migliorando la qualità della vita degli astronauti nelle missioni a lungo termine.

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