curiosità
Il contachilometri navale romano: tecnologia antica per misurare le distanze in mare
l contachilometri navale romano è un esempio straordinario dell’ingegneria antica, ideato per misurare le distanze percorse dalle navi in mare. La sua origine risale agli scritti di Vitruvio, l’architetto romano del I secolo a.C., che descrisse un dispositivo simile utilizzato sulle navi. L’invenzione è attribuita a Archimede, che avrebbe progettato il meccanismo durante la Prima Guerra Punica, quando Roma affrontava Cartagine. Il dispositivo montava una ruota a pale che veniva messa in movimento grazie al moto della nave nell’acqua. Ad ogni rotazione della ruota, un meccanismo di ingranaggi faceva cadere un ciottolo o una sfera metallica in un contenitore. Ogni oggetto nel contenitore rappresentava una certa distanza, solitamente un miglio romano.
Il funzionamento dell’odometro navale era semplice ma ingegnoso. La ruota a pale immersa nell’acqua si muoveva con il moto della nave, facendo ruotare una serie di ingranaggi che rilasciavano un oggetto ogni volta che la ruota compiva un giro. I marinai potevano così contare i ciottoli o le sfere metalliche per determinare quante miglia avevano percorso. Sebbene il sistema non fosse infallibile, poiché le condizioni del mare, le correnti e la velocità della nave potevano influire sull’accuratezza, forniva comunque una stima utile della distanza percorsa. Questo strumento era particolarmente vantaggioso per i viaggiatori romani, che avevano bisogno di orientarsi durante i lunghi viaggi marittimi o di pianificare i tragitti per il commercio e le operazioni militari.
L’odometro navale rappresentava una delle prime soluzioni per misurare la distanza in mare. Questo dispositivo è un chiaro esempio delle competenze ingegneristiche dei Romani, capaci di risolvere problemi pratici con soluzioni innovative. Sebbene l’odometro non fosse perfetto, era sicuramente un passo avanti rispetto ad altre tecniche di navigazione più primitive. Oggi, mentre il contachilometri navale non è più utilizzato, il concetto di misurare le distanze durante la navigazione continua ad evolversi, con tecnologie moderne come il GPS e i sonar. Tuttavia, l’ingegno degli antichi Romani ci ricorda che la ricerca di soluzioni pratiche per affrontare le difficoltà della vita marittima ha radici molto antiche.
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curiosità
Il silenzio dello spazio: perché non possiamo ascoltare nulla nello spazio
Nel vasto vuoto dello spazio, una delle peculiarità più affascinanti riguarda la totale assenza di suono. A differenza di quello che sperimentiamo quotidianamente sulla Terra, dove le onde sonore viaggiano attraverso l’aria e raggiungono i nostri orecchi, nello spazio queste onde non hanno un mezzo attraverso cui propagarsi.
Il suono, infatti, è una vibrazione che si diffonde in un materiale come aria, acqua o metallo, ma nel vuoto interplanetario non c’è nulla che possa permettere alle vibrazioni di muoversi. Questo significa che se ci trovassimo nello spazio, anche se qualcuno ci parlasse o ci fosse un’esplosione, non potremmo sentire nulla. Sarebbe come trovarsi in una stanza completamente silenziosa, ma a una scala cosmica.
Questa assenza di suono nello spazio è una delle prime cose che gli astronauti notano quando eseguono le loro missioni. Sebbene all’interno delle navette spaziali o delle stazioni orbitanti ci sia aria e quindi sia possibile sentire i suoni, una volta fuori, nello spazio aperto, il silenzio è assoluto.
Anche se il concetto di vuoto spaziale può sembrare inquietante, in realtà questa mancanza di suono ci offre una meravigliosa opportunità: un ambiente completamente privo di interferenze sonore, dove si può concentrarsi sul panorama mozzafiato e sul mistero infinito che ci circonda.
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curiosità
Vega E: la nuova frontiera del trasporto spaziale con 350 milioni di euro di investimento Esa
n una mossa rivoluzionaria, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha destinato ben 350 milioni di euro per lo sviluppo del Vega E, un lanciatore di nuova generazione destinato a trasformare il panorama del trasporto spaziale. Questo investimento significativo sottolinea l’impegno dell’ESA nel mantenere il vantaggio competitivo dell’Europa nell’industria spaziale globale.
Il Vega E, evoluzione del Vega C, rappresenta un salto tecnologico monumentale. A differenza del suo predecessore, il nuovo lanciatore presenterà una configurazione a 3 stadi, sostituendo l’attuale design a 4 stadi. Il cuore di questa innovazione è lo stadio superiore a propellente liquido alimentato a metano e ossigeno liquido, che offre prestazioni superiori rispetto ai propellenti solidi utilizzati nel Vega C.
Una delle principali caratteristiche del Vega E è la sua capacità di carico: potrà trasportare fino a 3 tonnellate metriche in orbita bassa terrestre (LEO), un notevole miglioramento rispetto alle 2,3 tonnellate del Vega C. Questo incremento di capacità apre nuove possibilità per missioni spaziali più ambiziose, come il lancio di satelliti per l’osservazione della Terra e per telecomunicazioni.
Il nuovo stadio superiore a propellente liquido non solo migliorerà le prestazioni del veicolo, ma offrirà anche una maggiore flessibilità operativa, permettendo inserimenti orbitali più precisi e supportando una gamma più ampia di profili di missione. Con l’aumento della domanda di lanci satellitari, il Vega E garantirà che l’Europa rimanga un attore di primo piano nel mercato globale dei lanci spaziali.
Il finanziamento non si limita al lanciatore stesso, ma include anche un potenziamento dei sistemi a terra del Vega C, permettendo fino a sei lanci all’anno. Questo miglioramento incrementerà l’efficienza e la reattività del programma di lancio, riducendo il tempo tra un lancio e l’altro.
Infine, il passaggio a metano e ossigeno liquido per lo stadio superiore rappresenta un passo importante verso sistemi di lancio più ecologici. Il metano, rispetto ai propellenti solidi tradizionali, è un combustibile più pulito, riducendo l’impatto ambientale dei lanci spaziali e rispondendo alle crescenti preoccupazioni per la sostenibilità ambientale.
Il Vega E segna una nuova era per il trasporto spaziale europeo, migliorando capacità, efficienza e sostenibilità, e consolidando il ruolo dell’ESA come protagonista nel settore spaziale globale.
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Un container hi-tech per coltivare micro-ortaggi sulla Luna: un passo verso la sostenibilità nelle missioni spaziali
Un’innovazione straordinaria sta catturando l’attenzione del mondo scientifico: un container hi-tech progettato per coltivare micro-ortaggi sulla Luna. Questo progetto pionieristico, sviluppato dal Centro di Ricerca ENEA Casaccia di Roma e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), segna un passo fondamentale verso la sostenibilità delle missioni spaziali a lungo termine.
Il container, conosciuto come Hort3, è stato progettato per funzionare in ambienti estremi, come la Luna e i poli terrestri. Utilizzando tecniche avanzate di coltivazione idroponica in un ambiente chiuso e controllato, garantisce la crescita ottimale di micro-ortaggi in condizioni di gravità ridotta e temperature estreme. Con uno spazio di appena 1 m³, il sistema è in grado di coltivare diverse specie di micro-ortaggi, sfruttando luci LED per fornire l’illuminazione necessaria alla crescita delle piante.
Questo progetto non solo riduce la necessità di trasportare grandi quantità di provviste dalla Terra, abbattendo i costi e i rischi associati ai rifornimenti, ma contribuisce anche a migliorare la dieta e la salute degli astronauti durante missioni prolungate. I micro-ortaggi, ricchi di nutrienti essenziali e antiossidanti, potrebbero rappresentare una fonte importante di cibo fresco per gli astronauti.
Il progetto prevede esperimenti con varietà specifiche di ravanelli, come il Daikon e il Rioja, selezionati per la loro capacità di crescere rapidamente e fornire un alto valore nutritivo. Questi ortaggi sono ideali per l’ambiente controllato del container, che permette di ottenere risultati rapidi e sicuri.
Infine, l’uso di tecniche avanzate di realtà virtuale consente di simulare le condizioni di coltivazione lunare, identificando e risolvendo eventuali criticità, ottimizzando così il design e le operazioni del modulo di coltivazione. Un passo significativo verso un futuro in cui la coltivazione di cibo nello spazio potrebbe diventare una realtà quotidiana, riducendo la dipendenza dalle forniture terrestri e migliorando la qualità della vita degli astronauti nelle missioni a lungo termine.
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