Cronaca
Fares Bouzidi si sveglia dal coma: i giovani chiedono verità per Ramy e Fares
Fares Bouzidi, il ragazzo di 22 anni che guidava lo scooter durante l’inseguimento con i carabinieri a Milano in cui ha perso la vita il 19enne egiziano Ramy Elgaml, si è svegliato dal coma. Il giovane, che era ricoverato all’ospedale San Paolo da quasi una settimana, ha riaperto gli occhi nel pomeriggio di sabato 30 novembre. La notizia ha portato un senso di speranza tra i familiari e gli amici di Fares, che ora attendono ulteriori sviluppi sul suo stato di salute.
Nel frattempo, sabato 30 novembre, gli amici di Ramy e Fares hanno organizzato una fiaccolata per chiedere “verità e giustizia” su quanto accaduto. Circa 500 persone hanno partecipato al corteo che, partito da piazza Gabrio Rosa, ha attraversato via Mompiani, dove abitava Ramy, fino a via Quaranta angolo via Ripamonti, il luogo dove il ragazzo ha perso la vita domenica 24 novembre, cadendo dallo scooter alla fine di un inseguimento da parte dei carabinieri.
La manifestazione si è svolta in maniera tranquilla, con la partecipazione di giovani e residenti del quartiere Corvetto, che hanno espressamente chiesto che la verità emerga su quanto accaduto durante l’inseguimento. Durante il corteo, gli amici di Ramy hanno anche dedicato un murale di circa dieci metri in via dei Cinquecento, con il volto del ragazzo e la scritta “Ciao Ramy”.
All’inizio della fiaccolata, i manifestanti hanno chiarito di voler evitare qualsiasi tipo di violenza, precisando che il corteo era organizzato in modo pacifico. La manifestazione si è conclusa senza incidenti, seppur alcuni fumogeni colorati abbiano caratterizzato la testa del corteo, accompagnati dallo striscione che recitava “Verità e giustizia per Ramy e Fares. La morte non è uguale per tutti”.
Cronaca
Paura per Edoardo Bove: malore in campo durante Fiorentina-Inter, attesi aggiornamenti medici
Il mondo del calcio è in apprensione per Edoardo Bove, giovane centrocampista della Fiorentina, ricoverato all’ospedale Careggi di Firenze dopo un malore improvviso durante il match casalingo contro l’Inter, poi rinviato. L’episodio si è verificato al 6° minuto della partita, quando Bove si è accasciato privo di sensi in seguito a un colpo subito tra torace e milza in uno scontro di gioco. Il calciatore, che aveva manifestato leggeri capogiri poco prima, ha perso conoscenza vicino a Calhanoglu e Dumfries, i primi ad accorgersi della gravità della situazione.
Il pronto intervento dei compagni, in particolare Danilo Cataldi, è stato decisivo: Cataldi ha spostato la lingua di Bove per prevenire l’ostruzione delle vie respiratorie. Subito dopo sono giunti i soccorsi medici, che lo hanno trasportato d’urgenza in ospedale. Al momento, Bove è sottoposto a esami clinici per determinare la causa del malore. Si attendono aggiornamenti medici nelle prossime ore per comprendere l’entità del problema e le sue conseguenze sulla carriera del ventiduenne.
La vicenda ha profondamente scosso il mondo del calcio, con tifosi e colleghi che hanno espresso solidarietà e incoraggiamento per una pronta ripresa del giovane talento.
Cronaca
Siccità in Sicilia: sindaci occupano la diga Ancipa per difendere i propri comuni
La crisi idrica in Sicilia ha raggiunto un nuovo livello di tensione con l’occupazione della diga d’Ancipa da parte dei sindaci di Troina, Nicosia, Cerami e Gagliano Castelferrato, nella provincia di Enna. La protesta è stata scatenata dalla decisione della cabina di regia regionale di ripristinare temporaneamente l’erogazione di acqua verso i comuni di Caltanissetta e San Cataldo, lasciando però a rischio idrico i 26mila abitanti dei comuni dell’Ennese che dipendono esclusivamente da questa diga.
Sul luogo della protesta è intervenuto anche Sebastiano Venezia, parlamentare regionale, che ha espresso la sua rabbia sui social, accusando le istituzioni regionali di aver abbandonato il territorio. “Ci siamo assunti la responsabilità di non lasciare senza acqua 26mila cittadini”, ha dichiarato Venezia, aggiungendo che l’occupazione proseguirà “a oltranza”. Durante l’azione, i manifestanti hanno staccato un quadro elettrico, minacciando l’interruzione del flusso idrico dalla diga, un gesto simbolico che però non ha ancora bloccato del tutto l’erogazione.
La situazione si inserisce in un contesto di estrema emergenza. Il 2024 ha visto la Sicilia affrontare la peggiore siccità degli ultimi vent’anni, con gravi ripercussioni per circa due milioni di abitanti. Le province di Enna, Caltanissetta e Agrigento sono tra le più colpite, con razionamenti che stanno mettendo a dura prova la popolazione. La diga Ancipa, una delle infrastrutture idriche più importanti dell’isola, è ormai in sofferenza, e la sua capacità di 50 milioni di metri cubi non basta a fronteggiare le necessità di tutte le comunità che ne dipendono.
Nonostante le preoccupazioni degli amministratori locali, Siciliacque, la società che gestisce la distribuzione idrica, ha assicurato che l’acqua continuerà ad arrivare ai comuni di Caltanissetta e San Cataldo come stabilito dalla cabina di regia. Secondo l’azienda, l’intervento dei sindaci non ha chiuso la condotta dell’Ancipa, limitandosi a disattivare un quadro elettrico senza interrompere il flusso.
Tuttavia, il timore per il futuro resta alto. I sindaci dell’Ennese e i cittadini coinvolti nella protesta temono che, nei prossimi giorni, i loro territori possano rimanere a secco, aggravando una situazione già critica. Intanto, la mobilitazione prosegue, con il supporto di centinaia di cittadini e attivisti che chiedono soluzioni immediate e durature.
Questa vicenda mette in evidenza le difficoltà nella gestione delle risorse idriche in Sicilia, aggravate dai cambiamenti climatici e da una pianificazione infrastrutturale inadeguata. La protesta non è solo una battaglia per l’acqua, ma un grido di allarme sulla necessità di politiche più giuste e sostenibili per garantire il diritto all’acqua in un’isola sempre più provata dalla crisi climatica.
Cronaca
Blitz della polizia penitenziaria a Parma: sequestrati 20 telefoni a detenuti legati alla criminalità organizzata
Un’operazione congiunta della polizia penitenziaria ha portato al sequestro di una ventina di telefoni cellulari all’interno del carcere di Parma, utilizzati da detenuti italiani appartenenti a organizzazioni criminali. Il blitz, che ha visto il coinvolgimento del reparto operativo mobile e del comando locale, ha avuto luogo sotto la direzione del comandante Mauro Pellegrino e si è concluso con il ritrovamento di dispositivi elettronici in possesso di membri di gruppi criminali.
L’operazione ha avuto inizio con un intervento mirato nel padiglione dell’Alta sicurezza, dove gli agenti, coadiuvati dal magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia Marco Bedini e dal direttore del carcere Valerio Pappalardo, hanno scoperto cinque smartphone con schede SIM e cavetti USB per la ricarica. Successivamente, sono stati rinvenuti altri 15 dispositivi elettronici, che erano stati introdotti all’interno della struttura penitenziaria probabilmente attraverso pacchi postali o alimentari, mezzi usati per eludere i controlli.
Il sindacato OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha elogiato l’operato degli agenti, sottolineando la loro professionalità e determinazione nell’eseguire l’operazione, che rappresenta un passo fondamentale nella lotta contro l’illegalità nelle carceri. “Questo intervento testimonia l’impegno delle autorità nel mantenere la sicurezza e l’ordine all’interno degli istituti penitenziari, contrastando i fenomeni criminali”, ha dichiarato il sindacato.
Tuttavia, il caso ha messo in evidenza anche le problematiche legate alla carenza di organico della polizia penitenziaria, un aspetto che compromette la capacità di effettuare controlli efficaci sugli ingressi nelle strutture carcerarie, aumentando il rischio di infiltrazioni di dispositivi illeciti. L’operazione ha dunque sollevato preoccupazioni riguardo alla necessità di rafforzare le risorse umane per garantire maggiore sicurezza e prevenire attività criminali all’interno delle carceri.
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