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SAI CHE… Emerge una nuova passione tra i giovani adulti?

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Nel cuore della capitale e in molte altre città italiane, sta prendendo piede una tendenza che, seppur sorprendente in un’epoca dominata dalla tecnologia, sta conquistando una fetta sempre maggiore di appassionati: il ritorno dei giochi da tavolo. Nonostante il predominio dei videogiochi e della tecnologia, il fascino senza tempo dei giochi in scatola sta riscuotendo un successo crescente, soprattutto tra i giovani adulti di età compresa tra i 25 e i 39 anni.

Ciò che rende i giochi da tavolo così attraenti, rispetto alla velocità dei videogame, è la loro “lentezza” e la ritualità che accompagnano ogni partita. Il momento di apertura della scatola, la preparazione del tabellone, la disposizione delle pedine e l’utilizzo dei dadi non sono solo azioni meccaniche, ma creano un’esperienza collettiva che invita a staccare dalla frenesia digitale, per immergersi in un mondo di socialità e concentrazione. Questa atmosfera rilassata, dove il tempo sembra dilatarsi, appare come una boccata d’aria fresca per chi, magari, ha passato troppo tempo davanti a schermi.

Non è un caso che il mercato globale dei giochi da tavolo abbia visto un’esplosione negli ultimi anni, toccando i 14 miliardi di dollari e con previsioni di raddoppiare nei prossimi dieci anni. Questo fenomeno, che unisce il piacere di giocare con l’opportunità di stimolare la mente e rafforzare legami sociali, si è consolidato durante i lockdown, quando molte famiglie italiane hanno riscoperto il piacere di riunirsi attorno a un tavolo, lontano dai dispositivi elettronici.

In Italia, sebbene il mercato dei giochi da tavolo sia ancora piccolo e frammentato, il suo potenziale è enorme. Le aziende locali stanno registrando una crescita significativa, ampliando il proprio pubblico con giochi sempre più diversificati. In particolare, il pubblico adulto, abituato alla tradizione dei giochi come Risiko, sta riscoprendo anche giochi di strategia, fantasy e fantascienza, generi che ben si prestano ad appassionare chi cerca sfide mentali e sociali.

Nel contesto globale, grandi nomi del settore, come Ravensburger e Asmodee, continuano a fare la parte del leone, ma anche il panorama italiano sta dando segni di vitalità. Ad esempio, Ravensburger, ben nota per i suoi puzzle, ha visto un incremento significativo del proprio fatturato, riflettendo l’interesse crescente verso i giochi da tavolo anche in Italia.

Oltre agli aspetti ludici, c’è anche una componente educativa che gioca un ruolo importante nel successo di questi giochi. I giochi da tavolo stimolano la creatività, migliorano la capacità di risolvere problemi e incoraggiano lo sviluppo di strategie complesse, mettendo i partecipanti al centro dell’azione. Questo tipo di interazione consente di sviluppare abilità che nei videogiochi, spesso più passivi, sono meno evidenti. Così, mentre la generazione più giovane è abituata alla virtualità del web, riscoprire un gioco tradizionale rappresenta un’ottima occasione per tornare a essere protagonisti attivi, lasciando in secondo piano l’algoritmo.

In definitiva, il ritorno dei giochi da tavolo in Italia, e in particolare tra i giovani adulti, segna il desiderio di una pausa dalla digitalizzazione costante. La possibilità di staccare, di ritrovarsi insieme per un gioco lento e riflessivo, rappresenta una scelta consapevole di socializzare in modo diverso. Con il mercato in espansione e l’interesse che cresce, i giochi da tavolo si confermano come una vera e propria alternativa, capace di attrarre e unire generazioni diverse in una passione comune.

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La Pirateria nell’Adriatico: storia di conflitti, corsari e guerre di corsa

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La pirateria nell’Adriatico ha avuto un ruolo significativo nella storia marittima della regione, specialmente durante il periodo medievale e rinascimentale. Questa parte del Mediterraneo, che separa la penisola italiana dalla penisola balcanica, è stata un crocevia di commerci e scambi, ma anche un luogo di conflitti tra potenze marittime e pirati.

Le Repubbliche Marinare italiane, come Venezia, Genova e Ragusa (oggi Dubrovnik), furono attori principali nella pirateria dell’Adriatico. Sebbene queste potenze fossero principalmente orientate al commercio, spesso le loro flotte navali utilizzavano i corsari come un mezzo per proteggere i propri interessi economici e militari. A volte, le operazioni navali legali si trasformavano in veri e propri attacchi di pirateria, soprattutto nei confronti delle navi nemiche. Venezia, ad esempio, non solo si difendeva dai nemici, ma in alcuni casi istituiva vere e proprie guerre di corsa contro le potenze rivali. Genova, pur avendo una minore presenza nell’Adriatico rispetto a Venezia, aveva comunque una flotta capace di svolgere attacchi simili. Ragusa, pur essendo una città più piccola, agiva spesso contro i nemici ottomani e altre potenze della regione.

L’Impero Ottomano, che controllava gran parte delle terre balcaniche, è stato un altro grande attore della pirateria nel Mediterraneo e nell’Adriatico. I corsari ottomani, conosciuti anche come “barbari”, erano temuti per le loro incursioni. Sotto la guida di noti capi pirata come il famigerato Barbarossa, i corsari ottomani compivano raid contro le coste italiane e le rotte commerciali, cercando di destabilizzare l’economia dei rivali e espandere l’influenza ottomana. La presenza dei corsari berberi divenne così rilevante che le incursioni ottomane in Adriatico non erano rare, e la pirateria divenne uno strumento di guerra per il potere ottomano.

Anche la costa balcanica ha visto attivi pirati locali, in particolare gli albanesi e i montenegrini, che depredavano le navi mercantili italiane, sfruttando le difficoltà logistiche e difensive della costa. Le terre balcaniche, sotto il dominio ottomano, erano spesso teatro di conflitti locali, che includevano la pirateria come mezzo di resistenza o per ottenere ricchezze. I pirati dalmati, provenienti dalla regione della Dalmazia (oggi parte della Croazia), furono anch’essi noti per le loro incursioni, particolarmente contro le flotte veneziane, ma anche contro quelle di altre potenze rivali.

Le attività di pirateria non si limitavano solo a operazioni individuali o ad attacchi contro navi mercantili, ma talvolta erano anche parte integrante di conflitti più ampi. Le guerre di corsa, legittimate da lettere di corso emesse dai governi, erano comuni e permettevano a gruppi di pirati di agire contro le potenze nemiche senza incorrere in sanzioni legali, come se fossero una parte della guerra stessa. In questo contesto, la pirateria diveniva un’attività legale e formalizzata, finalizzata a danneggiare economicamente i nemici e a sottrarre risorse.

Il declino della pirateria nell’Adriatico avvenne principalmente a partire dal XVIII secolo, con l’instaurarsi di poteri più centralizzati e il rafforzamento delle flotte imperiali. L’espansione del controllo navale da parte di potenze come la Spagna, l’Austria e la Francia, e l’intensificarsi dei conflitti contro l’Impero Ottomano, ridussero progressivamente lo spazio per le incursioni pirata. La crescente protezione delle rotte commerciali, l’affermazione di leggi internazionali contro la pirateria e l’intensificarsi delle operazioni militari contro i pirati, contribuirono a mettere fine a queste attività illegali.

Nonostante ciò, la pirateria nell’Adriatico ha avuto un impatto duraturo sulla regione, influenzando le politiche marittime, le relazioni internazionali e la sicurezza delle rotte commerciali. Le incursioni pirata, spesso destinate a indebolire i rivali e ad accrescere il potere dei pirati e delle repubbliche marinare, sono state un elemento cruciale nella storia marittima e politica dell’Adriatico.

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Il Codice dei Pirati: leggi, disciplina e uguaglianza a bordo delle navi corsare

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Il codice dei pirati era un insieme di regole che regolavano la vita a bordo e il comportamento degli equipaggi, stabilendo norme che venivano rispettate dai membri. Queste leggi, a volte scritte, altre volte non formalizzate, erano fondamentali per mantenere l’ordine e la coesione tra i pirati. La divisione del bottino era una delle regole più importanti: ogni membro dell’equipaggio riceveva una parte equa del bottino, con alcuni ufficiali che, per il loro ruolo, ricevevano una percentuale maggiore. La disciplina era un altro aspetto fondamentale: il rispetto tra i pirati e l’autorità degli ufficiali era necessario per garantire il buon funzionamento della nave. Tuttavia, la violenza tra i membri era considerata dannosa e veniva evitata, cercando di risolvere i conflitti attraverso la mediazione. Le punizioni per i trasgressori del codice erano severissime, arrivando anche all’amputazione o all’esclusione dall’equipaggio, e in alcuni casi anche alla morte.

Un altro aspetto cruciale era il trattamento dei prigionieri. I pirati trattavano in modo diverso i prigionieri, a seconda della loro importanza: quelli che potevano portare un riscatto venivano tenuti vivi, mentre altri venivano liberati o uccisi. Inoltre, la democrazia tra i pirati era un aspetto che li distingueva dalle altre forme di pirateria. Il capitano veniva eletto dall’equipaggio e, in molte occasioni, le decisioni più importanti venivano prese con il voto dell’intero equipaggio.

Alcuni dei pirati più noti, come Bartholomew Roberts, Edward Teach (Blackbeard) e William Fly, avevano i loro codici, che regolavano la vita a bordo in modo simile. Questi codici erano pensati per garantire una vita più equa rispetto alle rigide gerarchie della marina tradizionale. La vita dei pirati non era priva di rigore, e il codice pirata rappresentava un tentativo di mantenere l’ordine e la giustizia in un contesto altrimenti caotico.

Anche se la pirateria era vista come un atto di ribellione contro l’autorità, il codice dei pirati mostrava come la coesione e l’ordine fossero essenziali per il successo delle imprese dei pirati. Attraverso questo sistema, i pirati cercavano di bilanciare la libertà con la necessità di vivere insieme come una comunità. Il codice dei pirati, quindi, non solo garantiva l’ordine nelle loro azioni quotidiane, ma rifletteva anche la loro visione del mondo, una visione basata sull’uguaglianza, sulla giustizia e sulla condivisione.

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L’impatti di meteoriti: un viaggio nel passato con il Meteor Crater

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Circa 49.000 anni fa, un asteroide di ferro di dimensioni comprese tra i 30 e i 50 metri colpì l’altopiano del Colorado, in Arizona, generando un’esplosione devastante che scavò circa 175 milioni di tonnellate di roccia. Questo evento catastrofico diede origine al Meteor Crater, una gigantesca cavità dal diametro di 1200 metri. L’impatto, paragonabile a un’esplosione nucleare, ma senza le radiazioni ionizzanti, fu tale da vaporizzare l’asteroide, la roccia circostante e qualsiasi forma di vita nelle immediate vicinanze.

I venti generati dall’esplosione superarono i 1000 km/h, spazzando via la vegetazione entro un raggio di 19 km. Gli animali che si trovavano a soli 4 km dal punto d’impatto morirono, mentre quelli a una distanza di 24 km subirono danni gravi. Nonostante la devastazione, l’evento non provocò un’estinzione di massa, e la ricolonizzazione del territorio avvenne in un periodo relativamente breve, di circa 100 anni.

Oggi, il Meteor Crater rimane uno dei crateri di impatto più impressionanti e meglio conservati al mondo, testimoniando la forza distruttiva che gli asteroidi possono esercitare. Se un simile impatto accadesse oggi, i danni potrebbero essere paragonabili a quelli di un evento catastrofico in grado di distruggere intere città moderne. La potenza di questi impatti è un monito su quanto siano vulnerabili la Terra e la vita umana agli eventi cosmici.

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