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SAI CHE… Prodotti di uso quotidiano contengono pfas?

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I PFAS, acronimo di sostanze per- e polifluoroalchiliche, sono composti chimici noti per la loro eccezionale resistenza all’acqua, ai grassi e alle macchie. Sebbene questa caratteristica li renda ideali per l’uso in numerosi oggetti di consumo, la loro persistenza nell’ambiente e nel corpo umano li rende particolarmente preoccupanti. Queste sostanze sono infatti in grado di accumularsi nell’ambiente, contaminando acqua e suolo, e possono entrare nel nostro organismo attraverso il consumo di cibi contaminati o il contatto con vari oggetti.

L’esposizione ai PFAS è stata associata a diversi rischi per la salute, tra cui disturbi ormonali, malattie del fegato e danni al sistema immunitario. Con il crescente interesse verso questi composti, diventa fondamentale essere consapevoli di dove si nascondano nel nostro quotidiano. Ecco una panoramica di alcuni dei prodotti più comuni che li contengono:

1. Padelle antiaderenti

Le padelle antiaderenti sono tra i principali responsabili della contaminazione da PFAS, poiché molti modelli, soprattutto quelli più vecchi o di bassa qualità, contengono questi composti per rendere le superfici resistenti all’attaccamento del cibo. Nonostante la riduzione dell’uso di PFAS in modelli più recenti, alcune padelle continuano a rilasciare queste sostanze durante l’uso.

2. Giacche impermeabili e abbigliamento outdoor

Giacche impermeabili, scarpe da trekking e abbigliamento tecnico vengono trattati con PFAS per migliorarne le qualità idrorepellenti. Questi composti possono entrare in contatto con la pelle, causando un’esposizione diretta, e rappresentano un rischio soprattutto per chi indossa questi capi frequentemente.

3. Cosmetici

Molti cosmetici, come fondotinta, rossetti e mascara, contengono PFAS per migliorare la durata e la resistenza ai liquidi. Nonostante la loro funzionalità, l’uso di queste sostanze nei prodotti cosmetici solleva preoccupazioni per l’esposizione cutanea, in particolare per l’assorbimento diretto attraverso la pelle.

4. Cibo contaminato

Pesci, sale marino e latte sono solo alcuni degli alimenti che possono contenere tracce di PFAS. Questi composti si accumulano negli organismi marini e terrestri a causa della contaminazione ambientale. Consumarli può portare all’ingestione di PFAS, contribuendo alla loro permanenza nel nostro organismo.

5. Contenitori e imballaggi per alimenti

Imballaggi come contenitori per il take-away, cartoni della pizza o carta per alimenti trattati con PFAS sono progettati per essere resistenti a grassi e liquidi. Tuttavia, questi materiali possono trasferire i composti chimici al cibo, aumentando il rischio di contaminazione.

6. Tappeti e moquette

I tappeti e le moquette sono spesso trattati con PFAS per renderli resistenti alle macchie e facili da pulire. Sebbene l’esposizione sia indiretta, il contatto continuo con questi materiali può portare all’assorbimento di tracce di PFAS.

7. Cartucce per stampanti e toner

Le cartucce per stampanti laser e i toner contengono PFAS, che vengono usati per migliorare la qualità della stampa e la durata dei materiali. Pur non essendo direttamente a contatto con la pelle, l’inquinamento ambientale causato da questi prodotti può favorire la diffusione dei PFAS nell’ambiente.

8. Strumenti da cucina in teflon

Oltre alle padelle, anche altri utensili da cucina come spatole e mestoli in teflon possono rilasciare PFAS quando sottoposti a temperature elevate. Questi composti chimici, usati per evitare che il cibo si attacchi, possono entrare in contatto con gli alimenti durante la preparazione.

9. Carta forno e pellicole

La carta forno e le pellicole per alimenti, trattate con PFAS per migliorarne la resistenza al calore e all’umidità, possono trasferire queste sostanze ai cibi, specialmente quando vengono utilizzate per cuocere o conservare alimenti ad alte temperature.

10. Imbottiture di mobili e materassi

Anche i mobili, come divani e materassi, possono contenere PFAS, poiché i tessuti vengono spesso trattati per renderli resistenti alle macchie e all’usura. L’esposizione ai PFAS può avvenire nel tempo, soprattutto se i materiali trattati vengono danneggiati o utilizzati frequentemente.

Cosa fare per ridurre l’esposizione ai PFAS

Anche se non è possibile eliminare completamente l’esposizione ai PFAS, ci sono alcune misure che possiamo adottare per limitare il contatto con queste sostanze. Optare per prodotti privi di PFAS, preferire pentole e utensili da cucina in materiali naturali, evitare l’uso di imballaggi alimentari trattati e scegliere cosmetici senza queste sostanze sono alcuni dei passi da compiere. Essere consapevoli di dove si trovano questi composti nei prodotti quotidiani è il primo passo per proteggere la nostra salute.

La crescente attenzione verso i PFAS e i rischi ad essi associati ci invita a riflettere sulla nostra quotidianità e sulle scelte che possiamo fare per ridurre l’impatto di queste sostanze sull’ambiente e sul nostro organismo.

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La Pirateria nell’Adriatico: storia di conflitti, corsari e guerre di corsa

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La pirateria nell’Adriatico ha avuto un ruolo significativo nella storia marittima della regione, specialmente durante il periodo medievale e rinascimentale. Questa parte del Mediterraneo, che separa la penisola italiana dalla penisola balcanica, è stata un crocevia di commerci e scambi, ma anche un luogo di conflitti tra potenze marittime e pirati.

Le Repubbliche Marinare italiane, come Venezia, Genova e Ragusa (oggi Dubrovnik), furono attori principali nella pirateria dell’Adriatico. Sebbene queste potenze fossero principalmente orientate al commercio, spesso le loro flotte navali utilizzavano i corsari come un mezzo per proteggere i propri interessi economici e militari. A volte, le operazioni navali legali si trasformavano in veri e propri attacchi di pirateria, soprattutto nei confronti delle navi nemiche. Venezia, ad esempio, non solo si difendeva dai nemici, ma in alcuni casi istituiva vere e proprie guerre di corsa contro le potenze rivali. Genova, pur avendo una minore presenza nell’Adriatico rispetto a Venezia, aveva comunque una flotta capace di svolgere attacchi simili. Ragusa, pur essendo una città più piccola, agiva spesso contro i nemici ottomani e altre potenze della regione.

L’Impero Ottomano, che controllava gran parte delle terre balcaniche, è stato un altro grande attore della pirateria nel Mediterraneo e nell’Adriatico. I corsari ottomani, conosciuti anche come “barbari”, erano temuti per le loro incursioni. Sotto la guida di noti capi pirata come il famigerato Barbarossa, i corsari ottomani compivano raid contro le coste italiane e le rotte commerciali, cercando di destabilizzare l’economia dei rivali e espandere l’influenza ottomana. La presenza dei corsari berberi divenne così rilevante che le incursioni ottomane in Adriatico non erano rare, e la pirateria divenne uno strumento di guerra per il potere ottomano.

Anche la costa balcanica ha visto attivi pirati locali, in particolare gli albanesi e i montenegrini, che depredavano le navi mercantili italiane, sfruttando le difficoltà logistiche e difensive della costa. Le terre balcaniche, sotto il dominio ottomano, erano spesso teatro di conflitti locali, che includevano la pirateria come mezzo di resistenza o per ottenere ricchezze. I pirati dalmati, provenienti dalla regione della Dalmazia (oggi parte della Croazia), furono anch’essi noti per le loro incursioni, particolarmente contro le flotte veneziane, ma anche contro quelle di altre potenze rivali.

Le attività di pirateria non si limitavano solo a operazioni individuali o ad attacchi contro navi mercantili, ma talvolta erano anche parte integrante di conflitti più ampi. Le guerre di corsa, legittimate da lettere di corso emesse dai governi, erano comuni e permettevano a gruppi di pirati di agire contro le potenze nemiche senza incorrere in sanzioni legali, come se fossero una parte della guerra stessa. In questo contesto, la pirateria diveniva un’attività legale e formalizzata, finalizzata a danneggiare economicamente i nemici e a sottrarre risorse.

Il declino della pirateria nell’Adriatico avvenne principalmente a partire dal XVIII secolo, con l’instaurarsi di poteri più centralizzati e il rafforzamento delle flotte imperiali. L’espansione del controllo navale da parte di potenze come la Spagna, l’Austria e la Francia, e l’intensificarsi dei conflitti contro l’Impero Ottomano, ridussero progressivamente lo spazio per le incursioni pirata. La crescente protezione delle rotte commerciali, l’affermazione di leggi internazionali contro la pirateria e l’intensificarsi delle operazioni militari contro i pirati, contribuirono a mettere fine a queste attività illegali.

Nonostante ciò, la pirateria nell’Adriatico ha avuto un impatto duraturo sulla regione, influenzando le politiche marittime, le relazioni internazionali e la sicurezza delle rotte commerciali. Le incursioni pirata, spesso destinate a indebolire i rivali e ad accrescere il potere dei pirati e delle repubbliche marinare, sono state un elemento cruciale nella storia marittima e politica dell’Adriatico.

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Il Codice dei Pirati: leggi, disciplina e uguaglianza a bordo delle navi corsare

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Il codice dei pirati era un insieme di regole che regolavano la vita a bordo e il comportamento degli equipaggi, stabilendo norme che venivano rispettate dai membri. Queste leggi, a volte scritte, altre volte non formalizzate, erano fondamentali per mantenere l’ordine e la coesione tra i pirati. La divisione del bottino era una delle regole più importanti: ogni membro dell’equipaggio riceveva una parte equa del bottino, con alcuni ufficiali che, per il loro ruolo, ricevevano una percentuale maggiore. La disciplina era un altro aspetto fondamentale: il rispetto tra i pirati e l’autorità degli ufficiali era necessario per garantire il buon funzionamento della nave. Tuttavia, la violenza tra i membri era considerata dannosa e veniva evitata, cercando di risolvere i conflitti attraverso la mediazione. Le punizioni per i trasgressori del codice erano severissime, arrivando anche all’amputazione o all’esclusione dall’equipaggio, e in alcuni casi anche alla morte.

Un altro aspetto cruciale era il trattamento dei prigionieri. I pirati trattavano in modo diverso i prigionieri, a seconda della loro importanza: quelli che potevano portare un riscatto venivano tenuti vivi, mentre altri venivano liberati o uccisi. Inoltre, la democrazia tra i pirati era un aspetto che li distingueva dalle altre forme di pirateria. Il capitano veniva eletto dall’equipaggio e, in molte occasioni, le decisioni più importanti venivano prese con il voto dell’intero equipaggio.

Alcuni dei pirati più noti, come Bartholomew Roberts, Edward Teach (Blackbeard) e William Fly, avevano i loro codici, che regolavano la vita a bordo in modo simile. Questi codici erano pensati per garantire una vita più equa rispetto alle rigide gerarchie della marina tradizionale. La vita dei pirati non era priva di rigore, e il codice pirata rappresentava un tentativo di mantenere l’ordine e la giustizia in un contesto altrimenti caotico.

Anche se la pirateria era vista come un atto di ribellione contro l’autorità, il codice dei pirati mostrava come la coesione e l’ordine fossero essenziali per il successo delle imprese dei pirati. Attraverso questo sistema, i pirati cercavano di bilanciare la libertà con la necessità di vivere insieme come una comunità. Il codice dei pirati, quindi, non solo garantiva l’ordine nelle loro azioni quotidiane, ma rifletteva anche la loro visione del mondo, una visione basata sull’uguaglianza, sulla giustizia e sulla condivisione.

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L’impatti di meteoriti: un viaggio nel passato con il Meteor Crater

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Circa 49.000 anni fa, un asteroide di ferro di dimensioni comprese tra i 30 e i 50 metri colpì l’altopiano del Colorado, in Arizona, generando un’esplosione devastante che scavò circa 175 milioni di tonnellate di roccia. Questo evento catastrofico diede origine al Meteor Crater, una gigantesca cavità dal diametro di 1200 metri. L’impatto, paragonabile a un’esplosione nucleare, ma senza le radiazioni ionizzanti, fu tale da vaporizzare l’asteroide, la roccia circostante e qualsiasi forma di vita nelle immediate vicinanze.

I venti generati dall’esplosione superarono i 1000 km/h, spazzando via la vegetazione entro un raggio di 19 km. Gli animali che si trovavano a soli 4 km dal punto d’impatto morirono, mentre quelli a una distanza di 24 km subirono danni gravi. Nonostante la devastazione, l’evento non provocò un’estinzione di massa, e la ricolonizzazione del territorio avvenne in un periodo relativamente breve, di circa 100 anni.

Oggi, il Meteor Crater rimane uno dei crateri di impatto più impressionanti e meglio conservati al mondo, testimoniando la forza distruttiva che gli asteroidi possono esercitare. Se un simile impatto accadesse oggi, i danni potrebbero essere paragonabili a quelli di un evento catastrofico in grado di distruggere intere città moderne. La potenza di questi impatti è un monito su quanto siano vulnerabili la Terra e la vita umana agli eventi cosmici.

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