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SAI CHE… Il glifosato è ancora presente in molte farine?

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Un recente test condotto in Italia ha messo in luce la presenza di glifosato in numerosi campioni di farina. Nonostante il valore riscontrato sia inferiore ai limiti di legge, la scoperta ha sollevato preoccupazioni sul continuo utilizzo di questo erbicida, il più diffuso a livello globale. Il test, effettuato da Il Salvagente, ha analizzato 14 marche di farina provenienti dai principali supermercati italiani, con risultati che mostrano una presenza consistente di glifosato in 11 campioni su 14, anche se i livelli erano sempre al di sotto dei 10 mg/kg consentiti dalla normativa europea.

I risultati del test

Tra i campioni analizzati, alcuni hanno mostrato tracce di glifosato superiori alla soglia di quantificazione di 0,01 mg/kg, ma comunque al di sotto dei limiti legali. In particolare, i campioni di farina delle marche Caputo Nuvola, Eurospin Tre Mulini, Esselunga e Pam hanno ottenuto punteggi bassi a causa della presenza di quantità rilevabili di glifosato, anche se tutte rientrano nei limiti consentiti dalla legge.

Oltre al glifosato, sono state trovate anche tracce di altri pesticidi e micotossine, in particolare l’Ocratossina A, un composto tossico che può essere pericoloso per la salute umana. Nonostante questi contaminanti siano presenti in concentrazioni che rispettano i limiti legali, gli esperti di Il Salvagente esprimono preoccupazione, suggerendo che l’uso del glifosato dovrebbe essere bandito dalle produzioni alimentari per motivi precauzionali.

Le farine con il punteggio peggiore

Tra le farine che hanno ottenuto il punteggio più basso, risultano:

  • Caputo Nuvola Farina 0 con 0,024 mg/kg di glifosato
  • Eurospin Tre Mulini Farina 00 con 0,024 mg/kg di glifosato
  • Esselunga Farina 00 con 0,019 mg/kg di glifosato
  • Pam Farina 0 con 0,020 mg/kg di glifosato

Questi risultati hanno sollevato interrogativi sulla qualità dei grani utilizzati e sulla gestione del processo di coltivazione, evidenziando la necessità di un monitoraggio costante.

La risposta delle aziende

Dopo la pubblicazione dei risultati, alcune aziende hanno deciso di rispondere, ribadendo che i valori di glifosato rilevati sono ben al di sotto dei limiti di legge. Esselunga ha contestato i risultati, affermando che i valori di glifosato nel suo campione erano inferiori alla soglia di quantificazione, mentre Pam Panorama ha confermato che i dati ottenuti dal test sono ancora più bassi di quelli da loro riscontrati tramite analisi interne. Mulino Caputo, invece, ha sottolineato che i livelli di glifosato erano abbondantemente sotto i limiti legali e che l’azienda continua a garantire elevati standard qualitativi attraverso rigorosi controlli.

Un fenomeno preoccupante

Sebbene le concentrazioni di glifosato siano rimaste al di sotto dei limiti di legge, questo episodio è solo l’ultimo di una serie di test che dimostrano la persistente presenza di pesticidi nei prodotti alimentari. Gli esperti avvertono che anche a dosi ritenute sicure, l’esposizione al glifosato potrebbe comportare rischi per la salute. In un contesto in cui l’uso di pesticidi è ancora legale e regolamentato, diventa sempre più necessario un monitoraggio accurato e un’informazione trasparente per proteggere i consumatori.

La situazione solleva interrogativi non solo sulla sicurezza alimentare, ma anche sull’efficacia delle normative europee in materia di residui di pesticidi, poiché il glifosato continua a essere utilizzato anche su grano 100% italiano. Il consiglio degli esperti è quello di seguire con attenzione questi sviluppi e promuovere l’adozione di pratiche agricole più sostenibili.

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La Pirateria nell’Adriatico: storia di conflitti, corsari e guerre di corsa

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La pirateria nell’Adriatico ha avuto un ruolo significativo nella storia marittima della regione, specialmente durante il periodo medievale e rinascimentale. Questa parte del Mediterraneo, che separa la penisola italiana dalla penisola balcanica, è stata un crocevia di commerci e scambi, ma anche un luogo di conflitti tra potenze marittime e pirati.

Le Repubbliche Marinare italiane, come Venezia, Genova e Ragusa (oggi Dubrovnik), furono attori principali nella pirateria dell’Adriatico. Sebbene queste potenze fossero principalmente orientate al commercio, spesso le loro flotte navali utilizzavano i corsari come un mezzo per proteggere i propri interessi economici e militari. A volte, le operazioni navali legali si trasformavano in veri e propri attacchi di pirateria, soprattutto nei confronti delle navi nemiche. Venezia, ad esempio, non solo si difendeva dai nemici, ma in alcuni casi istituiva vere e proprie guerre di corsa contro le potenze rivali. Genova, pur avendo una minore presenza nell’Adriatico rispetto a Venezia, aveva comunque una flotta capace di svolgere attacchi simili. Ragusa, pur essendo una città più piccola, agiva spesso contro i nemici ottomani e altre potenze della regione.

L’Impero Ottomano, che controllava gran parte delle terre balcaniche, è stato un altro grande attore della pirateria nel Mediterraneo e nell’Adriatico. I corsari ottomani, conosciuti anche come “barbari”, erano temuti per le loro incursioni. Sotto la guida di noti capi pirata come il famigerato Barbarossa, i corsari ottomani compivano raid contro le coste italiane e le rotte commerciali, cercando di destabilizzare l’economia dei rivali e espandere l’influenza ottomana. La presenza dei corsari berberi divenne così rilevante che le incursioni ottomane in Adriatico non erano rare, e la pirateria divenne uno strumento di guerra per il potere ottomano.

Anche la costa balcanica ha visto attivi pirati locali, in particolare gli albanesi e i montenegrini, che depredavano le navi mercantili italiane, sfruttando le difficoltà logistiche e difensive della costa. Le terre balcaniche, sotto il dominio ottomano, erano spesso teatro di conflitti locali, che includevano la pirateria come mezzo di resistenza o per ottenere ricchezze. I pirati dalmati, provenienti dalla regione della Dalmazia (oggi parte della Croazia), furono anch’essi noti per le loro incursioni, particolarmente contro le flotte veneziane, ma anche contro quelle di altre potenze rivali.

Le attività di pirateria non si limitavano solo a operazioni individuali o ad attacchi contro navi mercantili, ma talvolta erano anche parte integrante di conflitti più ampi. Le guerre di corsa, legittimate da lettere di corso emesse dai governi, erano comuni e permettevano a gruppi di pirati di agire contro le potenze nemiche senza incorrere in sanzioni legali, come se fossero una parte della guerra stessa. In questo contesto, la pirateria diveniva un’attività legale e formalizzata, finalizzata a danneggiare economicamente i nemici e a sottrarre risorse.

Il declino della pirateria nell’Adriatico avvenne principalmente a partire dal XVIII secolo, con l’instaurarsi di poteri più centralizzati e il rafforzamento delle flotte imperiali. L’espansione del controllo navale da parte di potenze come la Spagna, l’Austria e la Francia, e l’intensificarsi dei conflitti contro l’Impero Ottomano, ridussero progressivamente lo spazio per le incursioni pirata. La crescente protezione delle rotte commerciali, l’affermazione di leggi internazionali contro la pirateria e l’intensificarsi delle operazioni militari contro i pirati, contribuirono a mettere fine a queste attività illegali.

Nonostante ciò, la pirateria nell’Adriatico ha avuto un impatto duraturo sulla regione, influenzando le politiche marittime, le relazioni internazionali e la sicurezza delle rotte commerciali. Le incursioni pirata, spesso destinate a indebolire i rivali e ad accrescere il potere dei pirati e delle repubbliche marinare, sono state un elemento cruciale nella storia marittima e politica dell’Adriatico.

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Il Codice dei Pirati: leggi, disciplina e uguaglianza a bordo delle navi corsare

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Il codice dei pirati era un insieme di regole che regolavano la vita a bordo e il comportamento degli equipaggi, stabilendo norme che venivano rispettate dai membri. Queste leggi, a volte scritte, altre volte non formalizzate, erano fondamentali per mantenere l’ordine e la coesione tra i pirati. La divisione del bottino era una delle regole più importanti: ogni membro dell’equipaggio riceveva una parte equa del bottino, con alcuni ufficiali che, per il loro ruolo, ricevevano una percentuale maggiore. La disciplina era un altro aspetto fondamentale: il rispetto tra i pirati e l’autorità degli ufficiali era necessario per garantire il buon funzionamento della nave. Tuttavia, la violenza tra i membri era considerata dannosa e veniva evitata, cercando di risolvere i conflitti attraverso la mediazione. Le punizioni per i trasgressori del codice erano severissime, arrivando anche all’amputazione o all’esclusione dall’equipaggio, e in alcuni casi anche alla morte.

Un altro aspetto cruciale era il trattamento dei prigionieri. I pirati trattavano in modo diverso i prigionieri, a seconda della loro importanza: quelli che potevano portare un riscatto venivano tenuti vivi, mentre altri venivano liberati o uccisi. Inoltre, la democrazia tra i pirati era un aspetto che li distingueva dalle altre forme di pirateria. Il capitano veniva eletto dall’equipaggio e, in molte occasioni, le decisioni più importanti venivano prese con il voto dell’intero equipaggio.

Alcuni dei pirati più noti, come Bartholomew Roberts, Edward Teach (Blackbeard) e William Fly, avevano i loro codici, che regolavano la vita a bordo in modo simile. Questi codici erano pensati per garantire una vita più equa rispetto alle rigide gerarchie della marina tradizionale. La vita dei pirati non era priva di rigore, e il codice pirata rappresentava un tentativo di mantenere l’ordine e la giustizia in un contesto altrimenti caotico.

Anche se la pirateria era vista come un atto di ribellione contro l’autorità, il codice dei pirati mostrava come la coesione e l’ordine fossero essenziali per il successo delle imprese dei pirati. Attraverso questo sistema, i pirati cercavano di bilanciare la libertà con la necessità di vivere insieme come una comunità. Il codice dei pirati, quindi, non solo garantiva l’ordine nelle loro azioni quotidiane, ma rifletteva anche la loro visione del mondo, una visione basata sull’uguaglianza, sulla giustizia e sulla condivisione.

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L’impatti di meteoriti: un viaggio nel passato con il Meteor Crater

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Circa 49.000 anni fa, un asteroide di ferro di dimensioni comprese tra i 30 e i 50 metri colpì l’altopiano del Colorado, in Arizona, generando un’esplosione devastante che scavò circa 175 milioni di tonnellate di roccia. Questo evento catastrofico diede origine al Meteor Crater, una gigantesca cavità dal diametro di 1200 metri. L’impatto, paragonabile a un’esplosione nucleare, ma senza le radiazioni ionizzanti, fu tale da vaporizzare l’asteroide, la roccia circostante e qualsiasi forma di vita nelle immediate vicinanze.

I venti generati dall’esplosione superarono i 1000 km/h, spazzando via la vegetazione entro un raggio di 19 km. Gli animali che si trovavano a soli 4 km dal punto d’impatto morirono, mentre quelli a una distanza di 24 km subirono danni gravi. Nonostante la devastazione, l’evento non provocò un’estinzione di massa, e la ricolonizzazione del territorio avvenne in un periodo relativamente breve, di circa 100 anni.

Oggi, il Meteor Crater rimane uno dei crateri di impatto più impressionanti e meglio conservati al mondo, testimoniando la forza distruttiva che gli asteroidi possono esercitare. Se un simile impatto accadesse oggi, i danni potrebbero essere paragonabili a quelli di un evento catastrofico in grado di distruggere intere città moderne. La potenza di questi impatti è un monito su quanto siano vulnerabili la Terra e la vita umana agli eventi cosmici.

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