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Cos’è il puntinismo?
Il puntinismo è una tecnica pittorica nata nell’ambito del post-impressionismo alla fine del XIX secolo, caratterizzata dall’uso di piccoli punti o macchie di colore puro applicati sulla tela in modo da creare un’immagine. Questa tecnica è stata sviluppata in particolare dai pittori Georges Seurat e Paul Signac, i principali esponenti del movimento.
1. Origine del Puntinismo
Il puntinismo nasce come evoluzione dell’impressionismo, che cercava di catturare l’effetto della luce e dell’atmosfera attraverso pennellate rapide e vibranti. Tuttavia, mentre gli impressionisti si concentravano su impressioni immediate e soggettive, i puntinisti si proponevano di applicare una tecnica più scientifica e sistematica al colore e alla composizione.
La nascita del puntinismo viene spesso attribuita a Georges Seurat, che, ispirato dagli studi scientifici sulla luce e sul colore, voleva sviluppare un metodo per rappresentare la realtà in modo più razionale e preciso. In particolare, Seurat era influenzato dalle teorie del divisionismo e della mescolanza ottica del colore.
2. Teorie Scientifiche sul Colore
Il puntinismo si basa su un principio scientifico di mescolanza ottica, che a sua volta si collega a studi sulla percezione visiva. Anziché mescolare i colori sulla tavolozza, i puntinisti applicavano piccoli punti di colori puri accostati sulla tela, in modo che fosse l’occhio dell’osservatore a mescolarli a distanza. Questo approccio si fondava sugli studi del chimico francese Michel Eugène Chevreul, che formulò la “legge dei contrasti simultanei”, e del fisico Ogden Rood, autore di un trattato sulla teoria dei colori.
In questo contesto, l’idea centrale era che accostando punti di colori complementari, come il blu e l’arancione, si potesse creare una luce e una vivacità superiori rispetto alla tradizionale mescolanza di colori sulla tavolozza.
3. Georges Seurat e il Puntinismo
Georges Seurat è considerato il fondatore del puntinismo. La sua opera più famosa, “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” (1884–1886), è un esempio iconico di questa tecnica. Seurat trascorse due anni lavorando su questa grande tela, applicando metodicamente piccoli punti di colore per creare l’immagine.
Seurat credeva che l’arte dovesse essere governata da principi scientifici e matematici, tanto che sviluppò un sistema di composizione che combinava elementi di armonia visiva e di contrasto cromatico. Le sue opere puntiniste cercavano di evocare non solo la luce, ma anche una sorta di equilibrio e calma, attraverso una composizione rigorosa.
4. Paul Signac e lo Sviluppo del Puntinismo
Dopo la morte precoce di Seurat nel 1891, Paul Signac divenne il principale sostenitore e promotore del puntinismo, che egli preferiva chiamare “divisionismo”. Signac contribuì a diffondere la tecnica tra altri artisti e continuò a esplorarne le potenzialità nel corso della sua carriera, sebbene con uno stile più libero rispetto a quello di Seurat.
Signac utilizzava punti e tratti di pennello leggermente più ampi rispetto al metodo puntiforme preciso di Seurat, ottenendo effetti più spontanei e vivaci. Tra le sue opere più rappresentative c’è “Porto di Saint-Tropez” (1899), che mostra l’uso di colori brillanti e un’attenzione al paesaggio costiero.
5. Eredità e Influenza
Il puntinismo non ebbe una diffusione capillare come altri movimenti artistici, ma esercitò una forte influenza su artisti e movimenti successivi. Esso contribuì a consolidare l’idea che l’arte potesse essere legata a principi scientifici e tecnici, anticipando così aspetti del cubismo e dell’astrattismo.
- Vincent van Gogh fu influenzato dal puntinismo per un breve periodo, come si può vedere in alcune sue opere come “La Ronda dei prigionieri” (1890), dove utilizza piccoli tratti di colore puro.
- Henri Matisse, durante i primi anni della sua carriera, sperimentò con la tecnica puntinista, che influenzò il suo uso successivo del colore in maniera non realistica.
- Il Divisionismo Italiano: In Italia, il puntinismo influenzò il divisionismo, un movimento parallelo che coinvolse artisti come Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Gaetano Previati. Questi artisti utilizzavano una tecnica simile, ma con una maggiore attenzione ai temi sociali e simbolici, come si può vedere nell’opera “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.
6. Declino e Transizione
Con l’inizio del XX secolo, il puntinismo come tecnica pura iniziò a declinare. Gli artisti delle avanguardie si allontanarono da questa metodologia rigida, preferendo approcci più espressivi o astratti. Tuttavia, l’influenza del puntinismo si estese alle generazioni successive, specialmente per quanto riguarda la teoria del colore e la sua applicazione artistica.
Il puntinismo è stato una delle correnti più innovative del post-impressionismo, cercando di combinare scienza e arte in un nuovo metodo di pittura. Nonostante la sua breve durata come movimento centrale, la sua influenza si è estesa oltre i confini del XIX secolo, lasciando un segno duraturo nella storia dell’arte. Georges Seurat e Paul Signac hanno aperto la strada a una nuova comprensione del colore e della luce, influenzando profondamente le future esplorazioni artistiche del Novecento.
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La Pirateria nell’Adriatico: storia di conflitti, corsari e guerre di corsa
La pirateria nell’Adriatico ha avuto un ruolo significativo nella storia marittima della regione, specialmente durante il periodo medievale e rinascimentale. Questa parte del Mediterraneo, che separa la penisola italiana dalla penisola balcanica, è stata un crocevia di commerci e scambi, ma anche un luogo di conflitti tra potenze marittime e pirati.
Le Repubbliche Marinare italiane, come Venezia, Genova e Ragusa (oggi Dubrovnik), furono attori principali nella pirateria dell’Adriatico. Sebbene queste potenze fossero principalmente orientate al commercio, spesso le loro flotte navali utilizzavano i corsari come un mezzo per proteggere i propri interessi economici e militari. A volte, le operazioni navali legali si trasformavano in veri e propri attacchi di pirateria, soprattutto nei confronti delle navi nemiche. Venezia, ad esempio, non solo si difendeva dai nemici, ma in alcuni casi istituiva vere e proprie guerre di corsa contro le potenze rivali. Genova, pur avendo una minore presenza nell’Adriatico rispetto a Venezia, aveva comunque una flotta capace di svolgere attacchi simili. Ragusa, pur essendo una città più piccola, agiva spesso contro i nemici ottomani e altre potenze della regione.
L’Impero Ottomano, che controllava gran parte delle terre balcaniche, è stato un altro grande attore della pirateria nel Mediterraneo e nell’Adriatico. I corsari ottomani, conosciuti anche come “barbari”, erano temuti per le loro incursioni. Sotto la guida di noti capi pirata come il famigerato Barbarossa, i corsari ottomani compivano raid contro le coste italiane e le rotte commerciali, cercando di destabilizzare l’economia dei rivali e espandere l’influenza ottomana. La presenza dei corsari berberi divenne così rilevante che le incursioni ottomane in Adriatico non erano rare, e la pirateria divenne uno strumento di guerra per il potere ottomano.
Anche la costa balcanica ha visto attivi pirati locali, in particolare gli albanesi e i montenegrini, che depredavano le navi mercantili italiane, sfruttando le difficoltà logistiche e difensive della costa. Le terre balcaniche, sotto il dominio ottomano, erano spesso teatro di conflitti locali, che includevano la pirateria come mezzo di resistenza o per ottenere ricchezze. I pirati dalmati, provenienti dalla regione della Dalmazia (oggi parte della Croazia), furono anch’essi noti per le loro incursioni, particolarmente contro le flotte veneziane, ma anche contro quelle di altre potenze rivali.
Le attività di pirateria non si limitavano solo a operazioni individuali o ad attacchi contro navi mercantili, ma talvolta erano anche parte integrante di conflitti più ampi. Le guerre di corsa, legittimate da lettere di corso emesse dai governi, erano comuni e permettevano a gruppi di pirati di agire contro le potenze nemiche senza incorrere in sanzioni legali, come se fossero una parte della guerra stessa. In questo contesto, la pirateria diveniva un’attività legale e formalizzata, finalizzata a danneggiare economicamente i nemici e a sottrarre risorse.
Il declino della pirateria nell’Adriatico avvenne principalmente a partire dal XVIII secolo, con l’instaurarsi di poteri più centralizzati e il rafforzamento delle flotte imperiali. L’espansione del controllo navale da parte di potenze come la Spagna, l’Austria e la Francia, e l’intensificarsi dei conflitti contro l’Impero Ottomano, ridussero progressivamente lo spazio per le incursioni pirata. La crescente protezione delle rotte commerciali, l’affermazione di leggi internazionali contro la pirateria e l’intensificarsi delle operazioni militari contro i pirati, contribuirono a mettere fine a queste attività illegali.
Nonostante ciò, la pirateria nell’Adriatico ha avuto un impatto duraturo sulla regione, influenzando le politiche marittime, le relazioni internazionali e la sicurezza delle rotte commerciali. Le incursioni pirata, spesso destinate a indebolire i rivali e ad accrescere il potere dei pirati e delle repubbliche marinare, sono state un elemento cruciale nella storia marittima e politica dell’Adriatico.
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Il Codice dei Pirati: leggi, disciplina e uguaglianza a bordo delle navi corsare
Il codice dei pirati era un insieme di regole che regolavano la vita a bordo e il comportamento degli equipaggi, stabilendo norme che venivano rispettate dai membri. Queste leggi, a volte scritte, altre volte non formalizzate, erano fondamentali per mantenere l’ordine e la coesione tra i pirati. La divisione del bottino era una delle regole più importanti: ogni membro dell’equipaggio riceveva una parte equa del bottino, con alcuni ufficiali che, per il loro ruolo, ricevevano una percentuale maggiore. La disciplina era un altro aspetto fondamentale: il rispetto tra i pirati e l’autorità degli ufficiali era necessario per garantire il buon funzionamento della nave. Tuttavia, la violenza tra i membri era considerata dannosa e veniva evitata, cercando di risolvere i conflitti attraverso la mediazione. Le punizioni per i trasgressori del codice erano severissime, arrivando anche all’amputazione o all’esclusione dall’equipaggio, e in alcuni casi anche alla morte.
Un altro aspetto cruciale era il trattamento dei prigionieri. I pirati trattavano in modo diverso i prigionieri, a seconda della loro importanza: quelli che potevano portare un riscatto venivano tenuti vivi, mentre altri venivano liberati o uccisi. Inoltre, la democrazia tra i pirati era un aspetto che li distingueva dalle altre forme di pirateria. Il capitano veniva eletto dall’equipaggio e, in molte occasioni, le decisioni più importanti venivano prese con il voto dell’intero equipaggio.
Alcuni dei pirati più noti, come Bartholomew Roberts, Edward Teach (Blackbeard) e William Fly, avevano i loro codici, che regolavano la vita a bordo in modo simile. Questi codici erano pensati per garantire una vita più equa rispetto alle rigide gerarchie della marina tradizionale. La vita dei pirati non era priva di rigore, e il codice pirata rappresentava un tentativo di mantenere l’ordine e la giustizia in un contesto altrimenti caotico.
Anche se la pirateria era vista come un atto di ribellione contro l’autorità, il codice dei pirati mostrava come la coesione e l’ordine fossero essenziali per il successo delle imprese dei pirati. Attraverso questo sistema, i pirati cercavano di bilanciare la libertà con la necessità di vivere insieme come una comunità. Il codice dei pirati, quindi, non solo garantiva l’ordine nelle loro azioni quotidiane, ma rifletteva anche la loro visione del mondo, una visione basata sull’uguaglianza, sulla giustizia e sulla condivisione.
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L’impatti di meteoriti: un viaggio nel passato con il Meteor Crater
Circa 49.000 anni fa, un asteroide di ferro di dimensioni comprese tra i 30 e i 50 metri colpì l’altopiano del Colorado, in Arizona, generando un’esplosione devastante che scavò circa 175 milioni di tonnellate di roccia. Questo evento catastrofico diede origine al Meteor Crater, una gigantesca cavità dal diametro di 1200 metri. L’impatto, paragonabile a un’esplosione nucleare, ma senza le radiazioni ionizzanti, fu tale da vaporizzare l’asteroide, la roccia circostante e qualsiasi forma di vita nelle immediate vicinanze.
I venti generati dall’esplosione superarono i 1000 km/h, spazzando via la vegetazione entro un raggio di 19 km. Gli animali che si trovavano a soli 4 km dal punto d’impatto morirono, mentre quelli a una distanza di 24 km subirono danni gravi. Nonostante la devastazione, l’evento non provocò un’estinzione di massa, e la ricolonizzazione del territorio avvenne in un periodo relativamente breve, di circa 100 anni.
Oggi, il Meteor Crater rimane uno dei crateri di impatto più impressionanti e meglio conservati al mondo, testimoniando la forza distruttiva che gli asteroidi possono esercitare. Se un simile impatto accadesse oggi, i danni potrebbero essere paragonabili a quelli di un evento catastrofico in grado di distruggere intere città moderne. La potenza di questi impatti è un monito su quanto siano vulnerabili la Terra e la vita umana agli eventi cosmici.
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