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L’ansia generata da una telefonata. Cosa rivela il sondaggio del Times
Un sondaggio del Times ha rivelato che i giovani tra i 18 e i 34 anni nutrono un forte disprezzo per le conversazioni telefoniche. Per loro, il suono del cellulare che squilla evoca più l’arrivo di una brutta notizia che la prospettiva di una voce amica pronta a confortarli o a offrire affetto immediato. L’ipersocialità creata dalla costante connessione sembra generare ansia quando la distanza si riduce e la comunicazione diventa più emotiva, attraverso dettagli vocali o richieste di risposte immediate che possono mettere a nudo insicurezze e timori relativi alle performance comunicative.
L’intonazione, la frequenza, le pause e il ritmo della voce comunicano molto più di quanto le parole stesse possano fare. Anche se in misura minore rispetto al contatto faccia a faccia, una conversazione telefonica permette comunque di percepire le emozioni, creando un senso di disagio in presenza di pause o silenzi che possono essere interpretati come vuoti angoscianti.
Al contrario dei messaggi o dei post sui social media, che possono essere manipolati e controllati con cura, le conversazioni telefoniche richiedono una maggiore empatia e adattamento reciproco per essere efficaci e gradevoli per entrambi gli interlocutori. L’assenza di segnali non verbali, unita alla mancanza di espressioni corporee significative, rende il dialogo più distante e solipsistico.
Questo fenomeno potrebbe essere attribuito alla crescente aridità sociale, alla competitività e alla mancanza di empatia e solidarietà verso i più vulnerabili. L’idea di difendersi dall’altro, evitando di mostrare sentimenti ed emozioni, può suggerire un’ulteriore ipotesi. Il timore che dall’altra parte del telefono possano giungere non solo cattive notizie, ma anche richieste di aiuto indesiderate o parole capaci di ferire con superficialità o indifferenza, contribuisce a questa avversione verso le conversazioni telefoniche.