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Una confessione digitale: in Svizzera l’IA permette di parlare con Gesù in un’installazione artistica

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In Svizzera, l’intelligenza artificiale (IA) ha varcato i confini della tecnologia per entrare nel campo della fede. Presso la Cappella di San Pietro a Lucerna, è stata allestita un’installazione artistica innovativa, la “Deus in machina”, che consente ai fedeli di parlare direttamente con un avatar digitale di Gesù. Questo progetto nasce dalla collaborazione tra la Facoltà di Teologia e il Centro di Realtà Immersive dell’Università di Lucerna, con l’intento di esplorare i limiti e le potenzialità della tecnologia nel contesto religioso.

L’esperienza, che si svolge all’interno di un confessionale, offre ai partecipanti la possibilità di interagire con un ologramma celeste di Gesù, al posto del tradizionale sacerdote. I fedeli possono condividere pensieri, dubbi e domande, ricevendo risposte che, pur provenendo da una macchina, sono incentrate su principi cristiani. Alcuni partecipanti hanno descritto l’esperienza come “mistica” e affermano di aver ricevuto utili consigli spirituali, sebbene consapevoli che l’interlocutore sia un’IA.

Lo scopo di questa iniziativa è principalmente educativo e riflessivo: stimolare una discussione critica sul ruolo della tecnologia nella spiritualità e nella religione. Sebbene l’esperienza possa sembrare estraniante, la Chiesa svizzera l’ha presentata come un’opportunità per interrogarsi sui limiti dell’innovazione tecnologica e sul suo impatto sulle pratiche religiose.

La “Deus in machina” rappresenta una sfida interessante, che unisce fede e tecnologia, invitando i partecipanti a esplorare nuovi modi di connettersi con la spiritualità. Questo esperimento in Svizzera apre la strada a possibili evoluzioni future, dove l’IA potrebbe svolgere un ruolo più rilevante nella vita religiosa, pur mantenendo un approccio critico e rispettoso delle tradizioni.

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Neuralink punta a controllare un braccio robotico con il cervello

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Neuralink, l’azienda fondata da Elon Musk, ha annunciato un nuovo ambizioso obiettivo: consentire il controllo di un braccio robotico attraverso un chip impiantato nel cervello, connesso senza fili. Questo progetto rappresenta un’evoluzione rispetto alle precedenti ricerche che avevano già permesso a due pazienti tetraplegici di interagire con dispositivi come smartphone e tablet.

Il progetto, chiamato Convoy, è stato presentato attraverso il profilo ufficiale di Neuralink sul social X. Insieme all’annuncio, è stato reso noto un accordo per avviare una campagna di test internazionale, che coinvolgerà inizialmente pazienti in Canada.

“Questo è un passo fondamentale per ripristinare non solo la libertà digitale, ma anche quella fisica,” ha scritto Neuralink su X, sottolineando il significato del progetto. Convoy utilizzerà i dispositivi N1, gli stessi impianti che erano stati applicati a due pazienti negli Stati Uniti nel contesto del progetto Prime. Il primo impianto, eseguito su Noland Arbaugh nel gennaio 2024, ha visto l’inserimento di un chip poco più grande di una moneta. Il secondo impianto è stato successivamente realizzato su un paziente noto come Alex.

Il progetto Convoy segna un ulteriore passo avanti, anche se al momento non sono stati divulgati molti dettagli. L’obiettivo è consentire il controllo di un braccio robotico da parte di pazienti tetraplegici senza utilizzare connessioni fisiche. Sebbene esperimenti simili siano stati condotti da altri gruppi di ricerca, Neuralink punta a raggiungere questo traguardo con una tecnologia completamente wireless, offrendo una maggiore libertà d’uso.

Se realizzato con successo, Convoy potrebbe rappresentare una svolta per la robotica medica e per le persone affette da disabilità motorie, ampliando le opportunità di integrazione tra cervello umano e tecnologia avanzata.

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Cyberattacchi con deepfake in aumento: colpite oltre il 10% delle aziende

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Gli attacchi informatici che sfruttano i deepfake sono in forte crescita. Nel 2024, oltre il 10% delle aziende nel mondo è stato bersaglio di tentativi di frode – riusciti o meno – basati su falsificazioni generate tramite intelligenza artificiale. Questo è quanto emerge dal “Risk Report 2024” di Tinexta Cyber, parte del Gruppo Tinexta.

Tra i Paesi più colpiti dagli attacchi informatici, Israele è entrato nella top 8 globale, registrando 56 vittime solo nel primo semestre del 2024. Gli Stati Uniti rimangono il bersaglio principale, con 1.176 attacchi nello stesso periodo, anche se in leggero calo rispetto alla fine del 2023 (-3,6%).

Per quanto riguarda l’Italia, si osserva una diminuzione delle vittime di attacchi (-14,8%). Tuttavia, gli attacchi ransomware hanno compromesso oltre 15.000 gigabyte di dati, di cui 12.600 resi pubblici nei primi sei mesi dell’anno. Il settore manifatturiero è il più colpito, rappresentando il 20% degli attacchi. Tinexta Cyber stima che, entro il 2031, i danni globali causati dalle gang ransomware supereranno i 265 miliardi di dollari. Nel frattempo, il numero di gruppi attivi è aumentato del 40,4%, passando da 52 a 73, segno di uno scenario sempre più frammentato e complesso.

L’intelligenza artificiale sta alimentando questa tendenza: strumenti di manipolazione, come i servizi di “jailbreak” acquistabili online, consentono agli hacker di creare campagne di phishing altamente sofisticate. I deepfake vengono impiegati per simulare rapimenti virtuali, estorsioni o persino pornografia non consensuale. Con queste tecnologie, i cybercriminali producono video o audio falsi che imitano colleghi, figure autorevoli o persino CEO, convincendo le vittime a firmare documenti o trasferire denaro per evitare la pubblicazione di materiale sensibile.

“In un panorama in cui le minacce cyber continuano a crescere – sottolinea Pierguido Iezzi, Strategic Business Development Director di Tinexta Cyber – è fondamentale adottare un approccio sistemico che garantisca la continuità operativa anche in caso di attacco, promuovendo standard di sicurezza condivisi lungo tutta la filiera. In questo contesto, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale gioca un ruolo cruciale”.

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Microsoft sotto indagine dall’Antitrust USA: avviata un’inchiesta

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Microsoft è finita nel mirino dell’Antitrust statunitense. La Federal Trade Commission (FTC) ha avviato una vasta indagine per analizzare diverse attività del colosso di Redmond, dal cloud computing alle soluzioni per la cybersicurezza, fino ai prodotti basati sull’intelligenza artificiale.

L’inchiesta è stata autorizzata da Lina Khan, presidente della FTC, nonostante il suo possibile abbandono del ruolo a gennaio, in seguito all’insediamento del presidente Donald Trump. Con il cambio alla Casa Bianca, è probabile che la FTC venga affidata a un leader repubblicano con un approccio più morbido verso le grandi aziende tecnologiche, incluse quelle della Silicon Valley, poco amate sia da conservatori che da democratici.

Secondo indiscrezioni dei media, l’indagine è partita dopo un anno di interviste e contatti con concorrenti e partner commerciali di Microsoft. Questi colloqui hanno portato la FTC a richiedere una serie dettagliata di informazioni all’azienda per valutare se abbia sfruttato la sua posizione dominante nel settore software. L’obiettivo è accertare se Microsoft abbia imposto accordi di licenza penalizzanti per ostacolare i clienti che desideravano trasferire i propri dati da Azure a servizi concorrenti.

Non è la prima volta che Microsoft affronta un’indagine antitrust: circa 25 anni fa, l’azienda fu al centro di una causa governativa per presunti abusi legati al sistema operativo Windows. All’epoca si cercò, senza successo, di frammentare l’azienda.

Un caso simile riguarda Google, contro cui il Dipartimento di Giustizia ha recentemente richiesto lo scorporo delle attività. Questo segue la sentenza di agosto, quando Google è stata definita un “monopolista”. L’indagine contro Google, avviata durante la prima amministrazione Trump, è ancora in corso e non lascia presagire cambiamenti positivi per l’azienda, specialmente alla luce della nomina di Brendan Carr, noto critico delle Big Tech, alla guida della Federal Communications Commission.

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