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Dieta Chetogenica: rischi e benefici, ecco gli studi

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La dieta chetogenica, nota anche come keto diet, è spesso utilizzata per perdere peso rapidamente e per gestire il diabete. Tuttavia, la sua adozione prolungata può comportare seri rischi per la salute, tra cui problemi metabolici e carenze nutrizionali. Nonostante queste preoccupazioni, recenti ricerche suggeriscono che, se seguita per brevi periodi, la dieta chetogenica possa offrire benefici significativi per alcuni disturbi mentali e neurologici.

Principi della Dieta Chetogenica

La dieta chetogenica si basa su un’alimentazione ad altissimo contenuto di grassi e bassissimo contenuto di carboidrati, con una moderata assunzione di proteine. Il principale meccanismo alla base di questo regime alimentare è la chetosi, uno stato metabolico in cui il corpo, in seguito alla riduzione drastica dei carboidrati, comincia a produrre chetoni dal fegato a partire dai grassi. Questi chetoni diventano la principale fonte di energia, sostituendo il glucosio.

Composizione e Alimenti Consigliati

La dieta chetogenica prevede un consumo quotidiano di carboidrati limitato a meno di 50 grammi, mentre i grassi possono costituire fino all’80% delle calorie totali. Gli alimenti tipici includono carni, pesce, uova, latticini grassi, frutta secca, semi e verdure a basso contenuto di carboidrati, come spinaci, broccoli e zucchine. I cibi ricchi di zuccheri e amidi, come frutta e salse industriali, sono da evitare.

Rischi della Dieta Chetogenica

Nonostante la popolarità della keto diet, essa comporta diversi rischi potenziali. Un apporto elevato di grassi può portare a problemi di colesterolo e a complicazioni cardiovascolari. Inoltre, una dieta così restrittiva può causare carenze nutrizionali, disidratazione e perdita di massa muscolare. Tra gli effetti collaterali comuni vi sono ipoglicemia, disturbi gastrointestinali, e aumento del rischio di calcoli renali a causa della produzione eccessiva di chetoni.

Implicazioni per la Salute Mentale e Neurologica

Recenti studi suggeriscono che la dieta chetogenica possa avere effetti positivi su alcune condizioni neurologiche e psichiatriche. Ad esempio, la dieta potrebbe aiutare a gestire la schizofrenia, i disturbi dell’umore e le crisi epilettiche. La sua capacità di migliorare il controllo glicemico e aumentare la sensibilità all’insulina può avere impatti positivi sul benessere mentale e sulla funzione cerebrale.

Studi Recenti e Approcci Alternativi

La ricerca della University of Texas ha rivelato che una dieta chetogenica a lungo termine potrebbe accelerare l’invecchiamento cellulare, influendo negativamente su cuore e reni. Tuttavia, la dieta chetogenica intermittente, che prevede pause e monitoraggi regolari, sembra evitare questi effetti negativi, offrendo un modo per ottenere i benefici senza compromettere la salute a lungo termine.

Inoltre, studi pilota hanno mostrato che la dieta chetogenica può essere efficace nel migliorare la salute mentale nei pazienti con malattie gravi come la schizofrenia e il disturbo bipolare. La riduzione dell’eccitabilità neuronale associata alla dieta potrebbe contribuire a una minore frequenza e intensità delle crisi epilettiche.

La dieta chetogenica presenta un quadro complesso di rischi e benefici. Mentre può offrire vantaggi significativi in breve termine, soprattutto per alcune condizioni neurologiche, è fondamentale adottarla sotto stretto controllo medico e con una supervisione professionale. Gli effetti potenzialmente dannosi della dieta a lungo termine richiedono attenzione e una gestione accurata per evitare complicazioni.

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SAI CHE…il sonno ripulisce il cervello dalle tossine? ma una ricerca smentisce

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Il cervello umano, durante il sonno, è stato a lungo considerato come un sistema che esegue una sorta di “pulizia” tramite il liquido cerebrospinale, rimuovendo i prodotti di scarto accumulati durante il giorno. Tuttavia, una recente ricerca dell’Imperial College London pubblicata su Nature Neuroscience mette in discussione questa convinzione.

I neuroscienziati hanno studiato il comportamento del liquido cerebrospinale nei cervelli dei topi in tre stati differenti: mentre erano svegli, durante il sonno e sotto anestesia generale. Utilizzando un tracciante fluorescente, hanno tracciato il movimento del fluido dai ventricoli cerebrali attraverso le varie aree cerebrali.

Contrariamente alle aspettative, i risultati hanno mostrato che il movimento e il ricambio del liquido cerebrospinale diminuivano significativamente durante il sonno e sotto anestesia, con una riduzione del 30% e del 50% rispettivamente, rispetto ai topi svegli e attivi.

Questi risultati sfidano la teoria che il sonno serva principalmente a facilitare la pulizia del cervello dai rifiuti cellulari. Se i risultati si applicano anche agli esseri umani, ciò implicherebbe che il sistema di pulizia cerebrale potrebbe essere più efficiente quando siamo svegli e attivi. Questo richiede una revisione delle teorie sul ruolo del sonno e sul motivo per cui la mancanza di sonno potrebbe essere dannosa per la salute cerebrale.

La ricerca ha implicazioni significative per lo studio delle demenze, come l’Alzheimer. Esistono due ipotesi principali riguardo alla relazione tra il sonno e queste malattie:

La mancanza di sonno potrebbe favorire l’insorgere di demenze.Le difficoltà a dormire potrebbero essere uno dei primi sintomi di condizioni come l’Alzheimer.La nuova scoperta ridimensiona l’idea che il sonno sia cruciale principalmente per la rimozione delle scorie cerebrali, suggerendo che il legame tra il sonno e le demenze potrebbe essere più complesso e coinvolgere altri fattori.

La scoperta dei neuroscienziati dell’Imperial College London sfida le nozioni consolidate sul ruolo del sonno nel mantenimento della salute cerebrale. Questo studio invita a riconsiderare alcune delle teorie predominanti riguardo alla funzione del sonno e al suo impatto sulla prevenzione delle demenze. Ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere meglio questi processi e per determinare come mantenere al meglio la salute del cervello attraverso il ciclo sonno-veglia.

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SAI CHE…La Coca-Cola è nata quasi per errore? Doveva essere un farmaco

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Era l’8 maggio 1886, una calda e umida serata, quando il farmacista John Stith Pemberton, nella sua casa ad Atlanta (USA), sviluppò la ricetta della Coca-Cola utilizzando una caldaia di ottone. L’obiettivo iniziale del dottor Pemberton era quello di creare uno sciroppo a base di estratti vegetali e noci di cola (semi di un albero africano) per trattare il mal di testa.

Tuttavia, successivamente, il farmacista di Atlanta si rese conto che, mescolando lo sciroppo con la soda, la sua medicina si trasformava in una bevanda gradevole e dissetante. Così nacque la bibita più celebre al mondo, la cui formula segreta è ancora gelosamente custodita in una cassetta di sicurezza presso una banca ad Atlanta.

La prima versione della Coca-Cola includeva anche una piccola quantità di sostanza stupefacente proveniente dalla pianta di coca (cocaina), ma nel 1903 questa fu completamente eliminata dalle foglie attraverso un processo simile a quello utilizzato per decaffeinare il caffè.

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Come fa un aereo a decollare? Non è merito solo della velocità

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Gli aerei non decollano spesso con la massima potenza, poiché non è necessario e potrebbe addirittura essere controproducente. Di solito, gli aerei commerciali mantengono una potenza dei motori ridotta durante il decollo, utilizzando la quantità minima necessaria per sollevarsi in volo e, se necessario, abortire in sicurezza. Questo approccio è principalmente finalizzato a ridurre i costi: i motori, che possono costare da 5 a 40 milioni di dollari ciascuno, subiscono particolari stress quando operano alla massima spinta. Limitando la potenza durante i decolli, si estende il tempo tra le costose revisioni e si prolunga la durata utile del motore dell’aeroplano. Questa pratica aumenta anche la sicurezza, poiché una minore potenza dei motori riduce il rischio di guasti e migliora la manovrabilità dell’aereo in caso di malfunzionamento durante la fase critica del decollo.

L’uso della massima potenza è riservato solo a situazioni che lo richiedono. Prima di ogni decollo, i piloti devono determinare la spinta ottimale in base a vari fattori, tra cui la lunghezza e le condizioni della pista, la temperatura esterna, la forza e la direzione del vento, la pressione atmosferica e altri parametri. Questo approccio consente di risparmiare carburante, ridurre le emissioni e mantenere sempre elevati standard di sicurezza.

Un altro studio condotto dall’American Chemical Society ha evidenziato il potenziale impatto ambientale positivo derivante dal volo degli aerei a quote più basse. Secondo questa ricerca, se anche solo l’1,7% degli aerei volasse a una quota 600 metri più bassa, si potrebbe ridurre significativamente la formazione di scie di condensazione, diminuendo del 59,3% il loro impatto termico complessivo.

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