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Politica

Open Arms, Bongiorno “Linea del Governo era redistribuire e poi sbarco”

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“Open Arms ha avuto innumerevoli, innumerevoli, innumerevoli possibilità di far sbarcare i migranti ma ha avuto innumerevoli, innumerevoli, innumerevoli rifiuti. Ha scelto di “bighellonare”, anzichè andare nel suo Stato di bandiera”. Lo ha detto Giulia Bongiorno, avvocato difensore di Matteo Salvini nel corso dell’arringa del processo Open Arms che vede imputato a Palermo il leader della Lega.
“Si contesta al ministro Salvini il reato di sequestro di persone per avere tenuto dei migranti a bordo, dal 14 al 19 agosto 2019; al contempo, si considera legittimo e normale che Open Arms,
imbarcazione battente bandiera spagnola, abbia tenuto gli stessi migranti dal giorno 1 al giorno 14 agosto, quando era evidente a tutti che avrebbe potuto far sbarcare i migranti a Malta nel giro di due giorni”, ha evidenziato Bongiorno, sottolineando che “si contesta al ministro Salvini di non assegnare il Pos, quando invece è stato assegnato il Pos alle 3.23, due ore dopo l’ingresso in acque territoriali. Di rifiuti ne abbiamo registrati tanti, ma non del ministro Salvini”.

Ripercorrendo quanto accaduto in quei giorni, la legale ha sottolineato come “gli orari giocano un ruolo importante in questa vicenda. Il soccorso in mare non è un’operazione fai da te: ci sono fasi che si devono rispettare. Le diapositive ci dimostrano che il barcone non aveva nulla di rotto a livello di motore: c’era uno squarcio? Persino il consulente dell’accusa – ha aggiunto – ha detto che era una chiazza di un colore diverso. Non c’era acqua, non c’era nulla: imbarcazione integra, non c’era distress”. In sostanza, “se stiamo attenti a orari e email, è evidente che non c’è un incontro occasionale, non c’è un distress, ma c’è un appuntamento”.
“Tra il 9 e il 10 agosto 2019 Open Arms dice che c’è un’imbarcazione in distress”, ma ha sottolineato l’avvocato “l’imbarcazione era perfetta”. Ma “improvvisamente si parla di
falla, di tantissime forature, che quella barca era un colabrodo: Malta riconosce ovviamente la presenza di un pericolo, dicono a Open Arms che possono procedere e poi avrebbero fatto sbarcare i 39 migranti presi in questa situazione. Open Arms non dice nulla: Eco3 però dice che non c’è acqua in questa barca. Malta però – ha continuato Bongiorno – non viene avvisata, viene concluso il soccorso e quindi la motovedetta maltese si dirige verso Open Arms”.

“A questo punto il diario di bordo segnala: ore 3.26, c’è
un’email. Si segnala che vanno verso Nord, che devono spostarsi;
Open non aspetta la motovedetta maltese, che cerca disperatamente
Open mentre Open continua ad allontanarsi. Sembra una sorta di
inseguimento: Malta segue la posizione, Open non la dà e poi dice
esplicitamente che non intende consegnare i 39 migranti”.
Secondo Bongiorno “abbiamo testimoni che ci riferiscono cosa
volevano i migranti: per la Liguori i migranti dichiararono che
volevano andare a Malta. E il comandante? La risposta è stata,
hanno detto che per cercare di calmare la situazione, le procedure erano più veloci in Italia”. “Quindi – ha concluso – hanno 39 migranti, ma non li danno a Malta, e l’argomento della velocità delle procedure italiane, un vanto per lo Stato italiano, viene usato per non farli sbarcare”.
Bongiorno non vuole parlare di processo politico, ma era un periodo in cui il contesto politico ha un certo valore.
“Prima redistribuire e poi sbarcare era la linea di quel governo: Toninelli in quanto responsabile delle operazioni in mare e Di Maio in quanto vicepremier avevano condiviso le operazioni di salvataggio della nave Diciotti nel 2018 e hanno condiviso, in una situazione politica ben diversa, le operazioni relative a Open Arms un anno dopo – ha ricordato -. Quella della redistribuzione prima dello sbarco era una linea condivisa non
solo dal governo Conte 1, ma anche dal Conte 2 di cui Salvini non
faceva parte”.

E l’allora premier “si stava occupando lui stesso dei migranti in quelle ore, stava facendo le telefonate per redistrubuire prima dello sbarco. Erano iniziate le trattative” con il Pd per costruire un nuovo Governo, “era un contesto politico particolare: ‘non sto assumendo un atteggiamento diverso, non ho mai detto che devono scendere: i minori sì, per gli altri redistribuzionè, voleva dire Conte. E’ il 15 agosto, fin qui c’è totale adesione all’operato di Salvini. E’ chiaro che la questione non è Open Arms e il problema non sono i minori”.

– Foto Agenzia Fotogramma –

Politica

Trump e Musk: una partnership sotto i riflettori tra nomine e riforme

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Negli ultimi giorni, Elon Musk ha cercato di distogliere l’attenzione da una crescente speculazione sulla sua relazione con l’amministrazione di Donald Trump. Il magnate di Tesla ha voluto ridimensionare il suo ruolo all’interno della squadra governativa, cercando di mettere a tacere le voci su presunti conflitti con l’entourage del presidente. Musk ha chiarito che le scelte politiche, comprese le nomine recenti, sono completamente nelle mani di Trump. In un post, ha lodato il presidente come “una persona straordinaria con un eccellente senso dell’umorismo”, e ha affermato che seppur avesse espresso opinioni su alcuni candidati, tutte le decisioni finali sono state prese dal presidente stesso.

In questo scenario, Musk sta ricoprendo un ruolo strategico con Vivek Ramaswamy, entrando a far parte del dipartimento per l’efficienza governativa, il Doge, creato per razionalizzare la burocrazia statunitense e ridurre gli sprechi all’interno del governo. La missione di Musk e Ramaswamy, due imprenditori di spicco, è quella di snellire il sistema e abbattere una parte considerevole della macchina burocratica. Secondo loro, la burocrazia, in continua espansione, costituisce una minaccia esistenziale per la repubblica, e i politici hanno alimentato tale fenomeno per troppo tempo. In un articolo sul Wall Street Journal, i due imprenditori hanno esposto il loro piano: eliminare il “deep state”, quei burocrati non eletti che emettono regole e regolamenti che, secondo Musk e Ramaswamy, sono antidemocratici e costano miliardi ai contribuenti.

Il duo ha dichiarato di voler adottare un approccio radicale, non politico, operando come volontari esterni, e non come funzionari federali. Musk, da parte sua, ha già manifestato il suo ottimismo riguardo alla possibilità di ridurre i costi federali, con l’obiettivo di tagliare circa 500 miliardi di dollari, a partire da iniziative come la soppressione di sovvenzioni pubbliche e organizzazioni “progressiste” come Planned Parenthood.

Sul fronte delle nomine, Trump sta rapidamente completando la sua squadra di governo, ad appena due mesi dall’insediamento e a soli due settimane dalla sua vittoria elettorale. Tra le nomine più recenti, spicca quella di Howard Lutnik, Ceo di Cantor Fitzgerald, al commercio, il cui nome ha suscitato attenzione, dato che si era scontrato con altri candidati come Scott Bessent per il ruolo di segretario del Tesoro. Lutnik ha ricevuto il sostegno di Musk, che ha definito il manager come un “agente del cambiamento”. Tuttavia, l’unico tassello ancora mancante nella squadra è proprio il Tesoro, per il quale si prevede una nomina imminente.

Nel frattempo, le nomine più controverse stanno incontrando ostacoli. Alcune di esse, in particolare quella di Matt Gaetz alla guida del dipartimento di Giustizia, stanno sollevando perplessità tra i membri del Senato, che dovranno confermarle. JD Vance, vice presidente eletto e senatore dell’Ohio, ha preso in mano la situazione recandosi a Capitol Hill per discutere queste nomine, cercando di risolvere le resistenze interne al partito.

Mentre Trump e Musk continuano a lavorare insieme per mettere in atto le loro riforme, le dinamiche politiche all’interno del governo continuano a evolversi, con nuove sfide in arrivo e tensioni che potrebbero influenzare le prossime mosse del presidente.

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Von der Leyen blinda la Commissione 2.0: accordo raggiunto su Fitto e Ribera tra tensioni e compromessi

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Ursula von der Leyen ha ottenuto un nuovo successo politico, sbloccando lo stallo che aveva paralizzato le trattative sulla composizione della sua Commissione 2.0. Dopo giorni di contrapposizioni tra popolari, socialisti e liberali, è stato raggiunto un accordo che garantisce il sostegno a due figure chiave: Raffaele Fitto e Teresa Ribera, entrambi nominati vicepresidenti esecutivi. La plenaria del Parlamento europeo del 27 novembre formalizzerà il compromesso, con uno scrutinio che, nonostante il dissenso dei Verdi, dovrebbe includere anche il voto favorevole di Fratelli d’Italia.

La premier Giorgia Meloni ha definito la nomina di Fitto una vittoria per l’Italia, sottolineando l’importanza strategica del ruolo ottenuto per il Paese. Anche il vicepremier Antonio Tajani ha espresso soddisfazione, augurandosi che Fitto possa contribuire al rafforzamento del ruolo italiano nella governance europea. Tuttavia, socialisti e liberali hanno espresso riserve, chiedendo che il politico italiano mantenga una posizione indipendente dal governo nazionale, una condizione inserita in un addendum al testo di accordo.

Le tensioni più forti si sono registrate intorno alla posizione di Ribera, accusata in Spagna di cattiva gestione delle alluvioni. Per superare le resistenze del Partito Popolare Europeo, è stata inclusa una clausola che prevede le sue dimissioni qualora venisse formalmente indagata. L’introduzione di questa condizione ha richiesto lunghe trattative, risoltesi solo in tarda serata con un’intesa tra le principali famiglie politiche pro-europee: PPE, S&D e Renew.

Nonostante l’accordo, i contrasti all’interno della coalizione restano evidenti. I socialisti hanno contestato la nomina di Fitto, mentre i conservatori di Fratelli d’Italia hanno chiesto al Partito Democratico di prendere le distanze dalla linea dei socialisti europei. Von der Leyen, intanto, continua a spingere per una collaborazione tra le forze politiche favorevoli a un’Europa integrata, ai diritti democratici e al sostegno all’Ucraina, principi cardine della sua presidenza.

L’accordo non ha previsto modifiche ai ruoli di Fitto e Ribera, ma ha ridotto le competenze del commissario ungherese Oliver Varhelyi, vicino a Viktor Orban. L’unico ampliamento riguarda le deleghe della socialista Roxana Minzatu, che si concentrerà su diritti sociali e lavoro di qualità. Mentre la votazione del 27 novembre si avvicina, è chiaro che le tensioni politiche all’interno della maggioranza Ursula continueranno a influenzare la nuova Commissione nei prossimi mesi.

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Schlein “Lavoriamo perchè il Governo duri il meno possibile”

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“Il 2024 è stato un lungo anno elettorale e noi siamo soddisfatti perchè si sta vedendo che un’alternativa alla destra c’è. Nelle Regioni in cui si è votato siamo partiti 6 a 1 per loro e ora siamo 4 a 3. Meloni, stiamo arrivando”.
Così la segretaria del Pd, Elly Schlein, in un’intervista al Corriere della Sera. Secondo la leader dem il successo alle ultime regionali è da scrivere a due fattori: ” l’unità e l’umiltà. L’unità non solo della coalizione, ma anche del Pd. questi elementi hanno pesato molto sul voto”. Quanto all’astensionismo osserva che “sarà un lavoro lungo: non si contrasta una tendenza strutturale che è europea in pochi mesi, ma il Pd è assolutamente determinato ad affrontare questa ferita alla democrazia”. A chi obietta però che l’alleanza scricchiola, tra veti incrociati e obiettivi, Schlein dice che “la prima questione che affronteremo insieme è la manovra su cui il governo continua a fare distrazione di massa”.

Tra le altre iniziative unitarie indica la “sanità pubblica, il congedo paritario per entrambi i genitori, sul terreno delle politiche industriali, le opposizioni tutte insieme hanno chiesto al governo di rinunciare al taglio di 4,6 miliardi al settore dell’automotive, il salario minimo e la ricostruzione per aiutare le imprese e gli agricoltori”. Sulle prospettive per la durata del governo, la segretaria del Pd chiosa: “Lavoriamo perchè duri il meno possibile visto che stanno facendo male. Hanno fatto tre manovre senza visione, senza investimenti e quest’ultima, in particolare, è recessiva. La coperta è corta e bisogna usare bene le risorse. Questo governo, però, sta imboccando la strada opposta e le sta usando male. Questa è una manovra senza prospettive per l’Italia. Quindi, noi lavoriamo per arrivare a elezioni prima della scadenza perchè, visti i danni di questi due anni, non vogliamo vederne altri per i prossimi tre”-

-Foto: Agenzia Fotogramma-

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