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SAI CHE… esiste un batterio marino che usa un cannone molecolare per catturare le sue prede?

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Esistono miliardi di batteri all’interno dell’oceano, buona parte dei quali non sono ancora conosciuti dalla scienza. Una nuova ricerca pubblicata su Science ha però appena dimostrato quali potrebbero essere le ragioni che ci dovrebbero spingere a studiarli di più.

In questa ricerca, i ricercatori dell’ETH di Zurigo – guidati da Martin Pilhofer, Yun-Wei Lien e Gregor Weis – hanno infatti scoperto una delle poche specie predatrici ad oggi conosciute. Il suo nome è Aureispira ed è anche una delle poche specie di batteri di cui si conoscono gli armamenti.

Questa specie presenta infatti delle armi. In particolare dispone di alcuni filamenti che ricordano dei rampini e un cannone molecolare che permette al batterio di stordire le sue prede, come se fosse un’imbarcazione dei pirati intenta ad assalire un galeone spagnolo.

Aureispira usa questi due strumenti per trarre a sé e uccidere velocemente le sue vittime e tra le sue prede preferite ci sono altri batteri, come i Vibrio. Qualora assalito e assalitore siano entrambi in acqua, inoltre, Aureispira attende che la sua vittima si avvicini alla sua superficie, prima di “sganciare” i flagelli in modo tale da infilzare la preda.

“Il cannone molecolare può anche servire per distruggere parti della membrana o della parete cellulare della vittima, così da far fuoruscire il prezioso citoplasma nutritivo della vittima” hanno chiarito i ricercatori.

Paradossalmente, Aureispira non è un predatore obbligato. Lo diventa solo quando la concentrazione di nutrienti nel suo ambiente diminuisce al punto tale da obbligarlo ad andare a caccia di altri microrganismi.

Questa scoperta è ritenuta estremamente interessante dai biologi, soprattutto per future applicazioni ambientali e mediche. Andando infatti a modificare il genoma di questo batterio, si potrebbero ottenere degli strumenti molto interessanti contro i microbi che provocano le malattie o le fioriture algali, oltre ad avere nuovi strumenti di bioingegneria per la ricerca.

Tra le poche altre specie conosciute di batteri in grado di predare altri microrganismi ci sono il batterio del suolo Myxococcus xanthus e il Vampirococco, che succhia le sue prede tramite una struttura simile a un becco, come un vampiro.

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SAI CHE… Accessori maschili si usava nell’Inghilterra dei Tudor?

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Durante il XVI secolo, l’Inghilterra dei Tudor assistette alla nascita di un accessorio maschile che divenne rapidamente emblema di status e potere: la brachetta, nota anche come codpiece. Questo particolare ornamento, indossato sia nell’abbigliamento cerimoniale che nelle armature, rifletteva una cultura dell’ostentazione che caratterizzava l’epoca.

I ritratti dell’epoca, come quelli di Enrico VIII, mostrano come la brachetta fosse un elemento distintivo dei costumi maschili, assurgendo a simbolo di virilità e fascino. La sua forma triangolare, realizzata in materiali sempre più robusti, si adattava anche alle esigenze sportive, segnando la versatilità di questo accessorio.

La brachetta non era solo un elemento di abbigliamento, ma un vero e proprio oggetto di seduzione. Nella commedia elisabettiana, un personaggio affermava che la sua presenza rendeva gli uomini più attraenti agli occhi delle donne. Anche il filosofo Michel de Montaigne la menzionava, sottolineando come fosse diventata un eufemismo per alludere a un tema delicato e tabù.

Tuttavia, nonostante il suo grande successo, la brachetta conobbe un declino nel corso del tardo Cinquecento, fino a scomparire completamente all’inizio del Seicento. Da simbolo di distinzione, si trasformò in un accessorio obsoleto, ma la sua influenza è ancora visibile nell’arte e nella letteratura, nonché nei moderni drammi in costume che rievocano quell’epoca ricca di contrasti.

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SAI CHE… Balmat e Paccard scalarano per primi il Monte Bianco?

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Nel cuore delle Alpi, la vetta del Monte Bianco ha a lungo alimentato storie di miti e misteri, con il suo maestoso profilo che si erge tra Italia e Francia. Nel passato, molti credevano che le sue vette nascondessero draghi e creature fantastiche, rendendo l’idea di conquistarle un sogno impossibile. Con l’avvento dell’Illuminismo, tuttavia, la scienza ha iniziato a sfidare queste credenze, portando a una nuova era di esplorazione.

Nel XVIII secolo, scienziati e naturalisti cominciarono a percorrere i sentieri delle montagne, preparando il terreno per l’alpinismo moderno. Uno dei pionieri fu l’inglese William Windham Senior, che nel 1741 scoprì il ghiacciaio “Mer de Glace” nei pressi di Chamonix. Nonostante i tentativi di scalata, fu Horace-Bénédict de Saussure, considerato il padre dell’alpinismo, a fissare nel 1760 una ricompensa per chiunque avesse conquistato la cima del Monte Bianco.

Dopo anni di tentativi, il 7 agosto 1786, due audaci scalatori, Jacques Balmat e Michel-Gabriel Paccard, decisero di affrontare l’impegnativa sfida. Equipaggiati in modo rudimentale e animati da un coraggio straordinario, i due uomini partirono all’alba. Durante la scalata, Balmat affrontò la solitudine e il maltempo, ma il suo spirito indomito lo portò a continuare, superando ogni ostacolo. Quando finalmente raggiunse la vetta, il panorama che si aprì davanti ai suoi occhi fu indescrivibile, e Balmat, per la prima volta, poteva dire di essere sulla “sommità del mondo”.

La discesa si rivelò altrettanto ardua, ma il 9 agosto, Balmat e Paccard furono accolti da una folla festante a Chamonix. Con questa storica scalata, il Monte Bianco smise di essere un mistero avvolto nel folklore, segnando l’inizio di una nuova epoca per l’alpinismo. L’impresa di Balmat e Paccard non solo trasformò la vetta in un obiettivo per gli alpinisti, ma contribuì anche a cambiare la percezione delle montagne, da luoghi di paura a simboli di avventura e conquista.

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SAI CHE… Diana di Poitiers beveva L’Oro Liquido?

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La vita affascinante di Diana di Poitiers, nota amante di Enrico II di Francia, è segnata da scelte audaci e un forte desiderio di preservare la giovinezza. Nata nel 1500, Diana si distinse non solo per la sua bellezza ma anche per la sua intelligenza e le sue capacità atletiche. Il suo matrimonio con Luigi di Brézé, un uomo molto più anziano, le diede due figlie, ma la vera svolta della sua vita arrivò con la morte del marito nel 1531.

Dopo essere rimasta vedova, Diana assunse un ruolo di grande rilievo alla corte francese, diventando l’amante del giovane principe Enrico, di ben 19 anni più giovane. Nonostante il suo matrimonio con Caterina de’ Medici, Enrico mantenne con Diana una relazione duratura che durò 25 anni, rendendola una delle figure più influenti del suo tempo.

La sua ricerca della bellezza non si fermò all’aspetto fisico: Diana iniziò a consumare un rimedio singolare, l’“oro liquido”, convinta che questo potesse aiutarla a mantenere la sua giovinezza. Recenti scoperte archeologiche, avvenute dopo la sua sepoltura, hanno rivelato alti livelli di oro nei suoi resti, confermando la sua straordinaria abitudine.

Diana di Poitiers non è ricordata solo per la sua bellezza e il suo amore proibito, ma anche per il suo impatto sulla cultura rinascimentale francese, essendo una mecenate di architettura. La sua vita, segnata da passione, ambizione e innovazione, continua a essere oggetto di interesse e studio, un simbolo di come la bellezza e il potere possano intrecciarsi in modi inaspettati.

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