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Cronaca

Castelvetro di Modena | Incidente sul lavoro, muore elettricista 36enne

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Tragedia sul lavoro a Castelvetro, in provincia di Piacenza, dove un elettricista di 36 anni ha perso la vita mentre era impegnato in una riparazione all’interno di una vetreria. L’incidente è avvenuto mentre l’uomo stava sistemando delle plafoniere su un ponteggio, a circa sei metri di altezza.

Secondo una prima ricostruzione, l’elettricista avrebbe improvvisamente perso l’equilibrio, cadendo dal ponteggio e precipitando al suolo. L’impatto è stato fatale, e l’uomo è deceduto sul colpo. Nonostante il rapido intervento dei soccorsi, inviati dal 118, ogni tentativo di rianimazione si è rivelato inutile.

Sul luogo dell’incidente sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Fiorenzuola, che hanno avviato un’indagine per chiarire le circostanze dell’accaduto e verificare il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro. L’incidente evidenzia ancora una volta l’importanza delle misure di prevenzione e protezione negli ambienti lavorativi, specialmente in situazioni ad alto rischio come quelle che prevedono lavori in altezza.

Cronaca

Reggio Calabria | Operazione “Ducale”: udienze per discutere i ricorsi per cui il gip non ha disposto misura cautelare

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A Reggio Calabria, il Tribunale della libertà è stato chiamato a esaminare i ricorsi presentati dalla Procura antimafia contro nove persone coinvolte nell’operazione “Ducale”. Questi individui, tra cui politici locali e una scrutatrice, erano stati inizialmente indagati senza che venisse applicata alcuna misura cautelare dal giudice per le indagini preliminari, Vincenzo Quaranta. Tuttavia, la Procura antimafia, guidata dai procuratori aggiunti Walter Ignazitto e Stefano Musolino, insieme al pubblico ministero Salvatore Rossello, ha deciso di appellarsi contro questa decisione.

Tra i nove indagati, spiccano le figure di due politici noti nella regione. Giuseppe Neri, consigliere regionale all’epoca dei fatti e capogruppo di Fratelli d’Italia a Palazzo Campanella, e Giuseppe Sera, ex capogruppo del Partito Democratico al consiglio comunale di Reggio Calabria. Entrambi i politici sono ora sotto esame per le loro presunte responsabilità nell’ambito dell’inchiesta “Ducale”.

Inoltre, un altro nome rilevante è quello di Daniel Barillà, esponente dei Democratici e influente capo elettore nell’area di Reggio nord, in particolare nella frazione Sambatello e nella Vallata del Gallico. Barillà è noto per il suo impegno politico e le sue attività imprenditoriali nella zona.

La Procura antimafia ha posto l’accento anche sulla posizione di Martina Giustra, una scrutatrice indagata in relazione alle operazioni di voto in due importanti tornate elettorali: le elezioni regionali del 26 gennaio 2020 e le comunali del 20 e 21 settembre 2020, presso il seggio “88” di Reggio Calabria. I magistrati hanno richiesto una rivalutazione del suo caso, sottolineando l’aggravante mafiosa che potrebbe aver influenzato le operazioni elettorali.

L’operazione “Ducale” ha portato alla luce presunti intrecci tra politica e criminalità organizzata nella gestione delle elezioni e in altre attività. Gli indagati sono accusati di aver avuto legami con ambienti mafiosi, manipolando il voto e sfruttando le loro posizioni per favorire determinate fazioni politiche. Questo caso, quindi, rappresenta un altro capitolo della lotta della magistratura contro l’infiltrazione della mafia nelle istituzioni pubbliche.

Le udienze davanti al Tribunale della libertà segneranno un passo cruciale per determinare se i nove indagati dovranno affrontare misure cautelari in attesa di un processo. L’esito di queste udienze potrebbe avere un impatto significativo sul panorama politico locale e sulle dinamiche di potere nella regione.

Il caso “Ducale” continua a destare preoccupazioni sulla trasparenza e la legalità delle operazioni elettorali in Calabria, mettendo in evidenza le sfide persistenti nella lotta contro la corruzione e l’influenza mafiosa nelle istituzioni.

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Cronaca

Soverato (CZ) | Esposto in vetrina un finto kit per sniffare cocaina

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Una profumeria di Soverato, “Il Profumo Rivalda 1989,” si è trovata al centro di un acceso dibattito pubblico dopo aver esposto nella propria vetrina un insolito allestimento. La titolare, Anna Scaturchio, è stata criticata per aver mostrato quello che è stato interpretato come un “finto kit per sniffare cocaina”. La questione ha sollevato numerose polemiche, portando all’intervento del suo legale, l’avvocato Salvatore Staiano.

L’avvocato Staiano, intervenuto sulla questione, ha fornito chiarimenti su quello che è stato definito il “Kit (inesistente) della cocaina”. Secondo l’avvocato, l’esposizione della vetrina non aveva l’intenzione di promuovere l’uso di sostanze stupefacenti, ma piuttosto di pubblicizzare un prodotto di nicchia venduto dalla profumeria.

Staiano ha spiegato che l’allestimento della vetrina era stato concepito per evocare una “scena del crimine”, delimitata da nastro giallo, come quelle utilizzate dalle forze dell’ordine per segnalare un’area sotto indagine. Questa scelta, secondo il legale, era intesa come un messaggio simbolico, volto a scoraggiare l’uso di droghe e a invitare i clienti a “lasciarsi inebriare dai profumi” offerti dalla profumeria.

La scelta della vetrina ha provocato reazioni contrastanti. Molti hanno criticato l’esposizione come inappropriata e potenzialmente offensiva, interpretando il finto kit come una banalizzazione del problema della droga. Altri, invece, hanno difeso la profumeria, considerando l’allestimento un tentativo di creare un’esperienza visiva provocatoria e artistica per promuovere i propri prodotti.

Questo episodio evidenzia come le interpretazioni di simboli e allestimenti possano variare significativamente, portando a incomprensioni e dibattiti pubblici. La profumeria “Il Profumo Rivalda 1989” si trova ora a dover gestire le conseguenze di questa controversia, cercando di spiegare le proprie intenzioni e di riabilitare la propria immagine agli occhi del pubblico. La vicenda sottolinea anche l’importanza della sensibilità culturale e del contesto quando si cerca di attirare l’attenzione attraverso strategie di marketing non convenzionali.

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Cronaca

Crotone | Sequestro villaggio, casette adibite a dimora temporanea vendute come abitazioni di lusso

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In un recente sviluppo legale di grande risonanza, la Corte di Cassazione ha confermato il sequestro di 74 strutture situate nel “Villaggio Campisi” a Crotone, una vicenda che ha attirato l’attenzione sia a livello locale che nazionale. L’episodio ha origine dalla trasformazione illegale di abitazioni temporanee in residenze permanenti, alcune delle quali di lusso, senza le necessarie autorizzazioni urbanistiche.

La vicenda risale a ottobre dello scorso anno, quando i carabinieri effettuarono un sequestro preventivo delle strutture nel complesso turistico di località Gabella. L’inchiesta ha evidenziato che le costruzioni, inizialmente destinate a uso temporaneo, sono state vendute come residenze permanenti, in aperta violazione delle normative urbanistiche vigenti.

Gli edifici sono stati realizzati dalla “Global Service Construction”, società rappresentata da Antonio Campisi, 82 anni, e Luigi Campisi, 48 anni. I due, attualmente sotto processo per lottizzazione abusiva, sono accusati di aver costruito le strutture senza rispettare il Piano regolatore generale e le norme regionali. Inoltre, Antonio Campisi, nella sua veste di amministratore della “Campisi Antonio”, è anche imputato per aver infranto ulteriori disposizioni urbanistiche.

Il 10 luglio scorso, la Cassazione ha respinto i ricorsi presentati dai 57 proprietari degli immobili, che avevano impugnato la decisione del Tribunale del riesame di Crotone di mantenere i sigilli sul villaggio. La Suprema Corte ha ritenuto fondate le accuse di violazione delle normative urbanistiche e ha deciso di mantenere il sequestro delle strutture.

Antonio e Luigi Campisi dovranno ora affrontare un processo penale, dopo che il pubblico ministero Pasquale Festa ha emesso un decreto di citazione diretta a giudizio. Le accuse di lottizzazione abusiva potrebbero comportare conseguenze significative per i due imputati, compresa la possibile confisca degli immobili e sanzioni penali.

L’episodio ha suscitato forti reazioni nella comunità locale e tra i proprietari degli immobili coinvolti, molti dei quali si trovano ora ad affrontare un futuro incerto per quanto riguarda la proprietà delle loro case. Il caso evidenzia, ancora una volta, la necessità di una rigorosa applicazione delle normative urbanistiche e di una maggiore trasparenza nei processi di sviluppo immobiliare.

Con la conferma del sequestro da parte della Cassazione, la questione legale è tutt’altro che conclusa e si attendono ulteriori sviluppi nei prossimi mesi, sia in sede giudiziaria che nei dibattiti pubblici sulla gestione del territorio e la legalità urbanistica in Italia.

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