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Tutto quello che forse non sai sul Colosseo

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Nel 2007, il Colosseo è stato incluso nell’elenco aggiornato delle sette meraviglie del mondo moderno, nonostante nel corso dei secoli abbia perso diversi pezzi. Commissionato intorno al 70-72 dopo Cristo dall’imperatore Vespasiano come dono al popolo romano, l’attuale Colosseo rappresenta solo un terzo della sua costruzione originale. Tuttavia, ha continuato a essere il simbolo della lunga e tumultuosa storia di Roma, costellata di misteri e curiosità.

  1. Dimensioni Imponenti: Il Colosseo è un edificio ellittico lungo 189 metri e largo 156 metri, con una superficie di 24.000 metri quadrati e un’altezza di oltre 48 metri. Disponeva di circa 80 ingressi e poteva ospitare fino a 50.000 spettatori.
  2. Costruzione Rapida: La sua costruzione richiese poco più di 5 anni, dal 75 all’80 d.C. Solo per la parete esterna furono utilizzati oltre 100.000 metri cubi di travertino.
  3. Origini del Nome: Inizialmente chiamato Anfiteatro Flavio, il nome “Colosseo” è giunto nel Medioevo. La teoria più accreditata è che derivi dalla vicinanza con la statua del “colosso” di Nerone. Altre ipotesi includono la posizione su un colle dove sorgeva un tempio di Iside.
  4. Contributo alla Storia: Il marmo del Colosseo fu riutilizzato per la Basilica di San Pietro e altri edifici civili, contribuendo alla sua conservazione nel tempo.
  5. Storia Oscura: Associato a una fama sinistra, il Colosseo era considerato una delle sette porte dell’inferno e fu luogo di riti propiziatori e sacri. Nel medioevo, fu usato per seppellire vittime di bande di briganti.
  6. Oasi di Biodiversità: Più di 350 specie di piante hanno colonizzato spontaneamente il Colosseo nel corso dei secoli, creando un ecosistema unico.
  7. Utilizzo Diversificato: Oltre ai combattimenti gladiatori, al suo interno si svolgevano anche spettacoli navali. L’arena poteva essere allagata rapidamente attraverso un sistema di pozzi e tubature sotterranee.
  8. Copertura Solare: Durante le giornate soleggiate, il Colosseo era protetto da un velario composto da 80 vele triangolari, gestite da 320 funi di supporto, per proteggere gli spettatori dai raggi solari.
  9. Icona Cinematografica: Il Colosseo è stato il set di numerosi film, sebbene “Il Gladiatore” non sia stato girato al suo interno. Parte del film è stata girata a Roma, mentre altre scene sono state realizzate in Tunisia e Malta.
  10. Restauro in Vista: A fine settembre, inizierà il restauro della facciata del Colosseo per riportarlo al suo splendore originario, con un costo stimato di 25 milioni di euro, sponsorizzato dalla Tod’s.

Il Colosseo rimane uno dei monumenti più iconici e significativi della storia e della cultura mondiale.

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SAI CHE… L’inquinamento dei super-ricchi e il futuro del pianeta?

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Un recente studio di Oxfam, intitolato “Carbon Inequality Kills”, ha messo in luce quanto i super-ricchi contribuiscano alla crisi climatica con le loro emissioni di CO2. Il report, diffuso in vista della COP29 che si terrà a Baku, rivela dati sconcertanti su come le abitudini di vita e gli investimenti dei miliardari stiano accelerando il riscaldamento globale e aumentando le disuguaglianze economiche e sociali.

Secondo il rapporto, i 50 miliardari più ricchi del mondo emettono, in media, una quantità di CO2 pari a quella che una persona con reddito medio produce nell’arco di tutta la sua vita, ma solo in 90 minuti di volo con jet privato o durante l’utilizzo dei loro yacht. Un dato che evidenzia come le loro attività di lusso abbiano un impatto devastante sull’ambiente.

Il report sottolinea che se tutti gli esseri umani inquinassero come l’1% più ricco del mondo, il budget globale di CO2 disponibile per mantenere il riscaldamento al di sotto dei 1,5°C si esaurirebbe in meno di cinque mesi. Una situazione insostenibile che pone l’intero pianeta sotto grave minaccia, con effetti devastanti in particolare per le nazioni più povere.

Tra le cause principali di questa impronta ecologica insostenibile vi sono i voli privati, i mega yacht e gli investimenti in settori altamente inquinanti, come il petrolio, l’estrazione mineraria e la produzione di cemento. Oxfam ha anche esaminato gli investimenti di questi miliardari, scoprendo che la loro portata inquinante è 340 volte superiore a quella generata dai loro spostamenti aerei e nautici.

Nel 2023, ad esempio, i jet privati dei super-ricchi hanno effettuato migliaia di voli, con un impatto ambientale impressionante. Solo Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha visto i suoi due jet privati in volo per quasi 25 giorni nell’arco di un anno, producendo più CO2 di quanto un dipendente medio di Amazon emetterebbe in 207 anni. A contribuire all’inquinamento sono anche le imponenti flotte di yacht, come quelle della famiglia Walton, proprietaria di Walmart, che hanno emesso tanto carbonio quanto quello prodotto da 1.714 dipendenti Walmart in un intero anno.

Oxfam denuncia che le emissioni generate da questi super-ricchi non sono solo simboli di eccesso, ma una minaccia concreta per la sopravvivenza di milioni di persone, specialmente nei Paesi a basso reddito. Le disuguaglianze economiche, alimentate da questi stili di vita insostenibili, stanno infatti causando perdite devastanti in termini di PIL e produzione agricola, con impatti diretti sulla sicurezza alimentare e sulla vita quotidiana di milioni di persone.

In vista della COP29, l’ONG lancia un appello urgente ai governi di tutto il mondo: è necessario intervenire immediatamente con politiche fiscali per ridurre le emissioni dei più ricchi, come l’introduzione di tasse sui redditi e patrimoni degli ultra-ricchi, oltre a incentivare l’eliminazione dei consumi di lusso altamente inquinanti e a regolamentare le attività aziendali per ridurre le loro emissioni di CO2.

L’auspicio è che queste politiche possano non solo limitare l’inquinamento, ma anche garantire una maggiore equità nella distribuzione delle risorse, trasformando i modelli economici attuali in sistemi più giusti e sostenibili per tutti.

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SAI CHE… l’ADHD visto dalla prospettiva Māori?

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Nella cultura Māori, l’ADHD viene definito con il termine “aroreretini”, che si traduce come “l’attenzione va a molte cose”. Questa visione non etichetta le persone con ADHD come “diverse”, ma piuttosto celebra la loro capacità unica di raccogliere stimoli da più fonti contemporaneamente. È una riflessione che invita a vedere il disturbo non come una limitazione, ma come un punto di forza che alimenta creatività e intuizione, in contrasto con la visione occidentale che tende a focalizzarsi sulle difficoltà.

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è noto soprattutto per l’impatto che ha sulla vita di bambini, che spesso faticano a concentrarsi, controllare gli impulsi e gestire l’iperattività. Le difficoltà scolastiche e sociali che ne derivano sono comuni, ma questa visione alternativa proposta dai Māori offre una prospettiva innovativa. Invece di vedere il movimento costante della mente e la scarsa capacità di focalizzarsi come un ostacolo, la cultura Māori li considera come tratti naturali di una mente che esplora diverse direzioni, creando connessioni uniche.

In effetti, la definizione Māori di “aroreretini” riflette una mente che può sembrare distratta, ma che in realtà è altamente ricettiva e pronta a raccogliere e analizzare una molteplicità di stimoli e idee. L’attenzione che si sposta su molti fronti può essere una risorsa creativa, utile a cogliere dettagli che altrimenti potrebbero sfuggire. Questa visione, che pone l’accento sui punti di forza piuttosto che sui limiti, incoraggia una visione più inclusiva e positiva nei confronti della neurodiversità.

Le difficoltà associate all’ADHD, come la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività, sono ben note, ma la cultura Māori invita a riconoscere le capacità creative che queste caratteristiche possono offrire. Le persone con ADHD, piuttosto che essere etichettate come problematiche, sono viste come individui con modalità differenti di pensare e interagire con il mondo. Questa visione valorizza l’originalità e la capacità di esplorare il mondo in modo non lineare.

Il termine “aroreretini” si inserisce in un contesto culturale che non solo riconosce la diversità, ma la celebra. Un’altra parola chiave della cultura Māori è “Takiwātanga”, che indica “il mio tempo e spazio”, un termine utilizzato per descrivere l’autismo e, analogamente, riflette un approccio che non stigmatizza, ma celebra le differenze come parte del mosaico umano.

In occidente, l’ADHD viene generalmente trattato come una patologia, con l’attenzione rivolta principalmente alla correzione dei comportamenti attraverso diagnosi, supporto educativo e, talvolta, farmaci. Tuttavia, la visione Māori ci invita a ripensare la neurodiversità e a considerarla una ricchezza, un punto di forza che arricchisce la società piuttosto che renderla più difficile da gestire. Questo approccio potrebbe contribuire a un cambiamento significativo nel modo in cui trattiamo e sosteniamo le persone con ADHD, promuovendo una cultura che celebra la differenza e incoraggia la valorizzazione delle qualità uniche di ciascun individuo.

Se da una parte la diagnosi di ADHD e il trattamento dei suoi sintomi sono un percorso importante per molti, dall’altra parte la visione inclusiva e rispettosa della cultura Māori offre una prospettiva che dovremmo imparare ad abbracciare. In fondo, come dimostrato dalla loro lingua e cultura, ogni individuo ha il potenziale di brillare a modo proprio, anche quando il mondo sembra non essere in grado di comprenderne le modalità di pensiero e interazione.

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SAI CHE… A Valencia volontari senza sosta per ripulire dal fango, con un po’ di musica per alleviare la fatica?

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In seguito alle gravi alluvioni causate dalle piogge torrenziali che hanno devastato la Comunità Valenciana, la risposta della popolazione locale è stata straordinaria. Migliaia di volontari, provenienti da tutta la Spagna, si sono riversati nelle zone colpite per dare una mano nelle operazioni di pulizia e recupero. Nonostante le difficoltà e la durezza del lavoro, che prevede la rimozione di fango e detriti dalle strade e dalle abitazioni, la solidarietà non è mai mancata.

Il cuore pulsante di questa mobilitazione è stato il coinvolgimento attivo di cittadini comuni, soldati e anche professionisti, come psicologi, che si sono uniti per offrire supporto fisico ed emotivo a chi ne aveva bisogno. I volontari, muniti di stivali di gomma, pale e molta determinazione, hanno affrontato il difficile compito di riportare la normalità in città e quartieri devastati dall’alluvione.

L’amministrazione locale ha saputo organizzare gli sforzi in modo efficace, attivando piattaforme digitali come Som Solidaritat, che permettono di coordinare le donazioni e l’offerta di aiuto. In queste piattaforme, chi desidera contribuire può offrire non solo materiali, ma anche la propria disponibilità umana. Le richieste più urgenti da parte dei comuni riguardano attrezzature per la pulizia, come guanti e occhiali protettivi, mentre la raccolta di cibo e abbigliamento non è necessaria al momento.

Mentre i lavori di recupero procedono a ritmo serrato, la situazione sanitaria resta una priorità. Le autorità sanitarie hanno sottolineato l’importanza di rispettare le misure di protezione, poiché il fango accumulato può essere contaminato e pericoloso per la salute.

Un momento particolarmente significativo si è verificato a Massanassa, dove l’artista Mike Churches ha scelto di fare una pausa musicale durante una delle fasi di recupero. Accompagnato dalla sua chitarra, ha intonato “Father & Son” di Cat Stevens, regalando ai presenti una boccata d’aria fresca e un attimo di sollievo nel bel mezzo di tanta fatica. La musica, che ha risuonato tra il fango e le macerie, ha avuto un effetto unificatore, facendo sentire la comunità più vicina e solidale. I residenti e i volontari hanno reagito con calore e gratitudine, apprezzando il gesto che ha portato speranza in un momento così difficile.

Questo episodio dimostra come, anche in situazioni drammatiche, l’arte e la solidarietà possano fare la differenza. Non è la prima volta che la musica diventa un mezzo per alleviare il dolore e dare conforto in momenti di crisi, come accadde in Emilia Romagna durante altre calamità naturali. L’iniziativa di Mike Churches, insieme all’impegno incessante di tutti i volontari, è la testimonianza che, nei momenti più bui, la comunità riesce a trovare forza e speranza anche grazie a piccoli gesti di generosità e bellezza.

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